Un inchino a Gaza

Un inchino a Gaza, ai morti, alla storia della Palestina, alla terra santificata da millenni di sangue. In un Paese in cui le madonne si inchinano ai boss mafiosi, è bello pensare che ci sono posti in cui Cristo Spirante, portato in processione da secoli, possa inchinarsi davanti alla bandiera della Palestina, che è un po’ la sua bandiera.

Ovviamente non è successo, anche se questa foto è vera ed è stata scattata a Martina Franca.

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Distributore in Valle d’Itria. Le ragioni di un “perchè?”. (Ma la Sovrintendenza non ne sapeva nulla)

(grazie a bradipodellavalle.blogspot.com)

Sorprendente è la reazione al movimento di opinione sulla costruzione di un distributore di benzina in Valle d’Itria. Da un certo punto di vista è straordinario vedere la partecipazione, la fiducia, l’incontro, lo scambio di opinioni di centinaia di persone che non si conoscono nemmeno ma condividono un punto di vista, dall’altro invece è triste vedere gli strumenti messi in campo per far sì che la domanda posta dal gruppo “perchè?” passi in secondo piano, spostando l’asse del discorso sul “perchè voi non la volete?”. La mossa tattica è scontata perchè passare dalla pretesa di una risposta politica da parte dei rappresentanti consiglieri si passa all’elenco di autorizzazioni ottenute. La risposta quindi, non esaurisce più la domanda “cosa vi ha spinto a farlo” ma “mi fate vedere i documenti?”. Ecco, a questo punto del percorso penso sia doveroso mettere dei paletti: le autorizzazioni servono per i Carabinieri e per il TAR, per noi cittadini indignati servono risposte brevi e concise alla domanda che ci troviamo costretti a ripetere: “Perchè costruire un distributore in Valle d’Itria?”.

A questa domanda attendiamo una risposta, che non può essere “ci saranno i muretti a secco”.

Il movimento questuante si muove su istanze politiche e non esclusivamente ambientali. E per politiche intendo: “quale progetto di territorio sta alla base dell’autorizzazione alla costruzione di un distributore in piena Valle d’Itria?”. Questa è la domanda completa, a cui ovviamente non accetteremo mai come risposta: “Ci sono le autorizzazioni”.

Con tutto il rispetto delle autorità competenti, chi se ne frega delle autorizzazioni…

In provincia, si sa, ogni volta che si fa un passo si rischia di pestare i piedi a qualcuno, magari involontariamente, magari consapevolmente. La storia del distributore ha fatto emergere subito le fazioni dello scontro (che nessuno vuole, spero) i cui strateghi hanno già sentenziato: “Spostiamo l’attenzione dalla domanda posta al fatto che le autorizzazioni ci sono tutte e non è che ogni volta che si fa qualcosa devono rompere i coglioni questi ambientalisti che non hanno nulla da fare. Noi siamo gente che lavora…”.

Pensare che questa sia una strategia studiata a tavolino, presuppone la capacità di studiare una strategia. Cosa difficile, almeno secondo l’esperienza fatta a Martina Franca, sono pochi coloro capaci di arrivare a tanto. Secondo chi scrive la cosa più probabile è che invece siano stati davvero colti in fallo, involontariamente, e l’atteggiamento è stato quello della difensiva.

Colti in fallo su cosa? La reazione della parte opposta spinge chi scrive a pensare che ci sia davvero qualcosa che non è emersa da subito. La domanda posta al commissario (ad acta, non di polizia, tranquilli…) assume ancora più importanza. Riflettendo ad alta voce, la prima obiezione è: come mai lì e non in via Mottola o in via Massafra? Perchè scegliere un luogo decentrato rispetto al grosso del traffico? Forse è una posizione strategica. Ma per cosa?

Il nuovo tracciato della SS 172?

Ecco. Forse è questa la base della decisione di strappare un pezzo di Valle d’Itria e destinarla a contenitore di petrolio. Da lì passerà la nuova 172 e quel posto diventa strategico. Oltretutto, vedendo i lavori in corso dalle parti del ponte della ferrovia sulla strada vecchia per Alberobello, diventa chiaro che da lì sarà spostato il traffico pesante diretto nella Zona Industriale. Il ponte che stanno costruendo permetterà che da sotto passino i camion.

(Questo spiegherebbe come mai dal Piano Carburanti voluto dal Comune sia stata stralciata solo la parte che va da via Locorotondo a via Ostuni fino al limite di provincia e non fino a via Alberobello).

Sarà questo il possibile disegno? Una nuova strada ad alta capacità che taglia la Valle d’Itria?

Senza giudicare, davvero, questo progetto, non possiamo non porci una domanda: un cambiamento così radicale del territorio, non meriterebbe un consulto con i cittadini? I milioni di euro che si spenderanno forse ci dicono che non è il caso di far passare tutto dal giudizio popolare. Chi sparte ha la parte migliore, dicono da noi.

Tanto ci sono le autorizzazioni.

Ah, dimenticavo, la Sovrintendenza per i Beni e le Attività Culturali non ne sapeva niente. Tanto da sentirsi in dovere di scrivere ai Carabinieri (clicca qui e qui per leggere la lettera)

Se non ora quando?

Anche a Martina Franca, in un avvilente silenzio mediatico appendice di quello nazionale, sono scese le donne per manifestare la propria volontà di non essere misurate attraverso i centimetri del seno. Ma cosa vogliono, in parole povere?

La lotta per la questione di genere è una strada lunga e piena di fraintendimenti, doppi sensi, rendite di posizione. In effetti non è semplice capire cosa come e dove vogliono arrivare. Io scrivo da maschio, ovvio, da maschio che non ha capito fino in fondo quale disagio può vivere una donna in un sistema che riconosce nell’immagine un ruolo fondamentale nel giudizio dell’individuo.

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Settecento di questi giorni

“Eppur si muove” oppure “non chiedere cosa può fare il tuo Paese per te, ma cosa puoi fare tu per il tuo Paese”. Vengono in mente tante citazioni durante l’incontro organizzato da Carlo Centrone, un tam tam sui social network che ha riempito la sala di Cristo Re. Tante persone, tante realtà, tante appartenenze. Anche politiche, nonostante sia chiaro dagli intenti dell’organizzatore e dai commenti in sala che proprio per le mancanze della politica ci si è trovati in una serata fredda di febbraio per organizzare “il compleanno di Martina Franca, il mio compleanno”, come ha detto Marangi della Ghironda.

Le parole di Centrone rimbalzano tra le file di sedie occupate, facce interessate, attente. Il progetto parte da un semplice assunto: l’Amministrazione Comunale pare non voglia assolutamente fare nulla per festeggiare adeguatamente il settecentenario della città. A questo punto, stanchi della solita ignavia dei politicanti locali, perchè non mettersi tutti insieme e organizzare la festa fatta dai martinesi per Martina Franca? Cittadini, associazioni, professionisti, imprenditori: tutti insieme in un’associazione che muore per statuto allo scoccare della mezzanotte del 31 dicembre 2011. Un’ATI, in pratica.

Guardandosi intorno, è evidente che c’è una cosa che accomuna tutti, dagli scout all’editore, dall’architetto al fotografo, all’operaio all’ex candidato consigliere. L’esclusione. Un’assemblea fondata sull’esclusione. Cosa hanno in comune tutti quanti? Il fatto di essere stati in qualche modo esclusi dagli ultimi 10 anni di vita politica/economica/sociale martinese. Esclusi dalla cricca che ha spartito potere e lotti di terreno, soldi per le manifestazioni e concessioni edilizie. Esclusi. Certo, non tutti sono ugualmente esclusi. Non è possibile paragonare un’associazione come la Ghironda a Terra Terra, sia per attività che per fatturato, ma entrambe, in qualche modo, sono state escluse.

Quindi eccoci qua, a rispondere “presente” alla chiamata di un cittadino tra i tanti (manco tanto) che ha preso la tastiera e ha creato l’evento su Facebook, ha coinvolto gli amici, ha chiesto di esserci. Una riunione che per il sottoscritto è costata due ore e mezzo di treno e una levataccia domani mattina per tornare a lavoro. Ma bisognava esserci per dire, insieme agli altri: “Eccomi, anche io sono un escluso”.

La politica è lontana, deve essere, a sua volta, esclusa da questo movimento (perchè è un movimento). Eppure l’assemblea di stasera è uno dei gesti più politicamente significativi che si sono fatti in città negli ultimi anni. Molti vogliono tenere fuori consiglieri e assessori, come in una sorta di vendetta civile, di boicottaggio democratico. Il popolo degli esclusi decreta che gli esclusori saranno esclusi. Eppure siamo sicuri che in sala c’è qualcuno che quelli (gli esclusori) li ha votati, magari ha anche fatto campagna elettorale.

Ma non importa. Non stasera.

 

Pentassuglia sul congresso (bloccato) del Pd

Pensavo che questo sabato pomeriggio ci sarebbe stata una svolta nel Partito Democratico martinese, dato che si sarebbe celebrato il congresso cittadino. Arrivo con molta calma all’auditorium Cappelli, con 45 minuti di ritardo dall’inizio e trovo tutto spento, con due o tre persone che allestiscono il palco.

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Mistero Galbanino. Risolto l’arcano dello spot.

Finalmente svelato il mistero della pubblicità che indica Erice e mostra Martina Franca. In una comunicazione dell’ufficio stampa della Galbani l’arcano che per giorni ha tenuto banco in città e sul web. Nel comunicazione si legge che lo spot doveva essere inizialmente girato interamente in Sicilia, ma per un problema “tecnico” la troupe è stata costretta a rimanere in Puglia. Da qui la scelta, dati i tempi di consegna e di messa in onda dello spot, di girare la parte rimanente del film in Puglia, a Martina, per poi montare insieme i pezzi.

Da qualche giorno lo spot che passa in tv è modificato, manca la parte con l’insegna stradale. È vero che si sono accorti dell’errore, ma nel frattempo lo spot incriminato è andato in onda per parecchi giorni.

Poco male, era solo la pubblicità di un formaggio fuso buono per i panini. Solo che è diventato un argomento di sgomento, di indignazione. C’è chi proponeva di boicottare lo spot, chi di non comprare più Galbani, chi cambiava canale ogni volta che passavano le immagini in tv.

In sintesi si diceva che era un’offesa alla città.

Un’offesa alla città.

Una città sventrata dai cantieri edili di dubbia legittimità.

Una città che vede la propria classe dirigente galleggiare ignorante nella propria inerzia.

Una città che ha i dirigenti comunali accusati di essersi decuplicati indebitamente gli stipendi.

Una città il di cui sindaco dichiara di essersi abbassato lo stipendio quando in realtà ha semplicemente eseguito una direttiva ministeriale.

Una città la cui giunta stanzia 390000 euro per mettere le telecamere di videosorveglianza.

Una città in cui non si riesce a fare un concorso pubblico che non sia truccato, inquinato, falsato, venduto dalla solita cricca di mediocri baroni che sono sempre lì (se volete vi do l’indirizzo).

Una città che ha perso il suo tessuto produttivo, con migliaia di operai disoccupati, con decine di imprese fallite, famiglie sul lastrico.

Una città che si indigna perché non viene citata nella pubblicità di un formaggino.

Bene, almeno una cosa l’abbiamo risolta.

PS: pare che dell’errore geografico ce ne siamo accorti solo noi, dato che qui, in un articolo di una testata web del nord barese in cui si parla dell’attrice che interpreta la mamma nello spot, non si siano resi conto che le immagini si riferissero a Martina. Ci dispiace un po’ anche per loro.

8 marzo, festeggiare si deve, per ricordare

La leggenda narra che nel 1908 a New York il signor Jonhson per placare gli animi delle operaie della sua industria tessile Cotton, le chiuse in fabbrica e appiccò un incendio. 129 operaie morirono bruciate. L’episodio fu ripreso due anni dopo durante l’Internazionale di Copenaghen, dove fu proposta l’istituzione di una giornata di lotta internazionale per le donne.

Altre fonti raccontano che la scelta dell’8 marzo fu dettata da un percorso lungo, del movimento per i diritti delle donne statunitensi. Comunque, quale che sia la versione storica, la cosa importante è che questo giorno è un giorno di lotta per il diritto al lavoro e per i diritti civili.

Il pane e le rose, appunto.

Abbiamo incontrato Valeria Fedeli, vicesegretaria nazionale della Filctem CGIL, nuova categoria di tessili e chimici, ex segretaria nazionale della Filtea. Abbiamo chiesto a lei quale fosse il senso di una giornata della donna: «Sono appena usciti i dati dell’occupazione femminile, e in Italia la percentuale di donne occupate è superiore solo alla Grecia. Continuiamo a vivere in un retaggio pazzesco in cui la disoccupazione femminile è, in fin dei conti, meno peggio di quella maschile, perchè la donna, se non lavora, ha comunque da fare a casa: famiglia, figli, lavare, stirare… E tutto questo nonostante la Costituzione Italiana preveda uguaglianza tra i generi». Rincara la dose, circostanziando meglio  cosa accade in Italia: «Nell’autunno del 2007 fu approvata la legge 188 che era stata fortemente spinta dalla categoria delle lavoratrici tessili. Era la cosiddetta legge contro le dimissioni in bianco, quella pratica molto diffusa che all’atto di assunzione permetteva al datore di lavoro di poter mandare via una lavoratrice quando ne avesse voglia. In particolare funzionava per evitare la maternità, una delle cose che maggiormente crea discriminazioni. Fu una vittoria, un passo avanti nel riconoscimento dei diritti. Nel 2008 però, fu abrogata dal ministro Sacconi. Fu una delle prima cose che fece il nuovo governo Berlusconi».

Emergenza Donna, dunque, dal titolo dell’iniziativa della Camera del Lavoro di Martina Franca. Un’emergenza che lungi dall’attenuarsi, mostra sempre più i suoi lati pericolosi. La donna-velina, la possibilità di farsi strada non attraverso il merito, ma per “cooptazione”, usando un eufemismo, attraverso pratiche che non riconoscono le capacità ma solo l’indice di gradimento dei potenti. Di solito uomini. La donna-velina non è il male in sè, ma lo diventa quando è l’unica pratica che trova il successo, che raccoglie il consenso, i curriculum vitae valutati attraverso la media seno-vita-glutei e non quella accademica.

La strada da percorrere è lunga, lo confermano i dati sulla disoccupazione, gli spaccati che non trovano spazio in televisione o sulle riviste. Festeggiare serve ancora, quindi, per ricordare, perchè, come conclude Valeria Fedeli: «L’8 marzo deve ritornare ad essere la festa laica del lavoro delle donne».

Il senso di legalità inizia da un divieto di sosta

All’iniziativa dell’Idv provinciale parlano Orlando e Scialpi. Ma c’è un ma…

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Convegno sulla legalità

Dell’iniziativa di stamattina dell’Italia dei Valori della Provincia di Taranto, che aveva per tema la legalità, la giustizia e la contraddizione nelle leggi, potremmo dare diverse letture. La prima, entusiastica, vede una platea piena di gente, ragazzi, famiglie e anziani che ascoltavano attenti le parole sagge dell’esperienza di un buon amministratore come Leoluca Orlando, la seconda invece è, forse, il senso reale delle cose si perde un po’ nei grandi paroloni e rischia di non concretizzarsi mai, perchè tanto non tocca a me.

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Gianfranco Chiarelli interviene sul tessile, insultando Vendola

Cavalcare l’onda della manifestazione di ieri è semplice, per qualsiasi politico, ma capovolgere la realtà e strumentalizzare la manifestazione e la rabbia dei lavoratori espressa ieri pomeriggio è un’impresa ardua. Ma non per questo non bisogna tentare. Negli interventi di ieri è apparso chiaro che molto di quello che sta accadendo è dovuto alle scelte sconsiderate di un Governo nazionale che non ha mai ammesso l’esistenza della crisi e con cadenza quasi settimanale, anzi, il Presidente del Consiglio annuncia che la crisi A) non tocca l’Italia; B) in Italia è più leggera; C) in Italia è già passata.

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Ecco Martina che lotta

Altissima la partecipazione alla manifestazione dei sindacati del tessile, che lanciano la sfida della ripresa del settore manifatturiero.

Made in Itali: Mobilitarsi Adesso Dobbiamo Essere Instancabilmente Numerosi Insieme Tutti Amministratori Lavoratori Imprenditori.

A parte la licenza poetica dell’acrostico, I al posto di Y, è in questo striscione appeso da alcune lavoratrici il senso della manifestazione svoltasi a Martina Franca durante la fiera detta “dei cappottari”. Ad integrazione, per rendere meglio l’idea del senso, bastava leggere sulla ringhiera intorno alla fontana in Piazza Roma o sullo striscione attaccato al Palazzo Ducale, rispettivamente “La città ha bisogno di noi – noi abbiamo bisogno della città” e “La giusta medicina non è il made in China”, entrambi della Filtea CGIL di Taranto, per rendersi conto che della situazione tutti hanno un quadro abbastanza chiaro. La crisi che da anni attanaglia il settore manifatturiero, moltiplicata per la crisi economica, unita alla tendenza non poco diffusa da parte di fette dell’imprenditoria di rivolgersi alla manodopera estera (cinese, rumena, albanese…) hanno reso il tessuto produttivo della Valle d’Itria quasi una landa desolata, fatta da operai in cassa o in mobilità e imprese che cadono stecchite ogni giorno.

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un momento della manifestazione

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