Unirsi nella diseguaglianza ai tempi del web

L’accorato appello lanciato dalle pagine di Radici Future Magazine da Gianni Svaldi, esperto giornalista, già direttore del Corriere del Giorno, farà lo stesso rumore di un albero che cade nella foresta se non c’è nessuno a sentire. La prospettiva da cui l’autore guarda il mondo del giornalismo online è quella imprenditoriale, con particolare riferimento al modello cooperativistico: se i piccoli hanno difficoltà, l’unione deve fare la forza.

In Italia esistono già tentativi del genere. Penso, ad esempio, a CityNews, che nasce dalla lungimiranza di alcuni giovani imprenditori, che hanno saputo fare rete con testate già esistenti nei capoluoghi, o favorendone la nascita di nuovi, oppure a ANSO, l’associazione nazionale della stampa online, che raggruppa invece i piccoli editori locali. Finora sono 150, secondo quanto riporta il contatore del sito, le testate associate, che si rivolgono ad un pubblico mensile medio di 15 milioni di persone.

Prima di andare avanti, ritengo sia fondamentale dichiarare l’oggetto di cui si parla, perchè per stampa online si può intendere dalla redazione web de Il Fatto Quotidiano, al testata iperlocale che tratta di quello che succede in paese. La distanza tra i due poli è enorme, ma alla base del funzionamento economico delle testate, il modello è pressochè identico: si sostengono entrambi con la pubblicità. Ma se il Fatto, ha a disposizione almeno (per fare gli scemi) una concessionaria, nella piccola testata locale il giornalista, o chi comunque redige gli articoli, fa anche l’agente commerciale. Il prodotto in vendita è lo stesso: la visibilità.

Detto questo, è chiaro che il modello ha dei grossi limiti: se gli introiti de Il Fatto, per esempio, possono dirsi bastevole per mantenere una redazione nazionale e pagare i collaboratori, gli introiti del sito iperlocale non bastano nemmeno, troppo spesso, per pagare l’affito della sede (se ci dovesse essere). E’ una specie di economia di scala al contrario, dove più si sale di livello più costa la pubblicità e più è facile venderla. Eppure non è nella forma economica la chiave di lettura giusta, ma nelle differenze e quindi nelle opportunità.

Come ho già scritto qui, gli iperlocali sono fondamentali nella creazione della comunità, e sono soprattutto capaci di avere un radicamento territoriale maggiore rispetto a qualsiasi altra forma di informazione. Arrivano prima e spesso meglio sui fatti anche di portata nazionale, e questo risulta, secondo l’esperienza di chi scrive, sia l’aspetto positivo che negativo. Capita, infatti, che gli iperlocali vivano una cannibalizzazione dei contenuti da parte dei grandi, che raccolgono senza nemmeno passare dal via. Il valore aggiunto degli iperlocali è la produzione di contenuti di qualità e il rapporto uno a uno con una grande testata è difficile se non impossibile. In quest’ottica vedrei bene, per esempio, l’intervento di un’associazione, di una rappresentanza, che tuteli gli interessi dei piccoli e faccia loro da chioccia perchè trovino la strada dell’autonomia. Un’associazione tra pari che siano facilitati nel condividere esperienze e, perchè no, mettano a disposizione degli altri associati una rete commerciale, in modo da moltiplicare la possibilità di raccogliere pubblicità.

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La Gazzetta del Mezzogiorno del 5 luglio 2016, utilizza una foto di ValleditriaNews, senza avere nessuna autorizzaione

Non un’agenzia di servizi, ma un incubatore, che metta a disposizione dei neonati le informazioni dei grandi, con l’obiettivo dell’emancipazione economica e dell’autoconsapevolezza del ruolo (l’etica).

In questo caso sì che, uniti nella disuguaglianza, la nostra voce potrebbe essere simile a quella dei grandi.

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