8 marzo, festeggiare si deve, per ricordare

La leggenda narra che nel 1908 a New York il signor Jonhson per placare gli animi delle operaie della sua industria tessile Cotton, le chiuse in fabbrica e appiccò un incendio. 129 operaie morirono bruciate. L’episodio fu ripreso due anni dopo durante l’Internazionale di Copenaghen, dove fu proposta l’istituzione di una giornata di lotta internazionale per le donne.

Altre fonti raccontano che la scelta dell’8 marzo fu dettata da un percorso lungo, del movimento per i diritti delle donne statunitensi. Comunque, quale che sia la versione storica, la cosa importante è che questo giorno è un giorno di lotta per il diritto al lavoro e per i diritti civili.

Il pane e le rose, appunto.

Abbiamo incontrato Valeria Fedeli, vicesegretaria nazionale della Filctem CGIL, nuova categoria di tessili e chimici, ex segretaria nazionale della Filtea. Abbiamo chiesto a lei quale fosse il senso di una giornata della donna: «Sono appena usciti i dati dell’occupazione femminile, e in Italia la percentuale di donne occupate è superiore solo alla Grecia. Continuiamo a vivere in un retaggio pazzesco in cui la disoccupazione femminile è, in fin dei conti, meno peggio di quella maschile, perchè la donna, se non lavora, ha comunque da fare a casa: famiglia, figli, lavare, stirare… E tutto questo nonostante la Costituzione Italiana preveda uguaglianza tra i generi». Rincara la dose, circostanziando meglio  cosa accade in Italia: «Nell’autunno del 2007 fu approvata la legge 188 che era stata fortemente spinta dalla categoria delle lavoratrici tessili. Era la cosiddetta legge contro le dimissioni in bianco, quella pratica molto diffusa che all’atto di assunzione permetteva al datore di lavoro di poter mandare via una lavoratrice quando ne avesse voglia. In particolare funzionava per evitare la maternità, una delle cose che maggiormente crea discriminazioni. Fu una vittoria, un passo avanti nel riconoscimento dei diritti. Nel 2008 però, fu abrogata dal ministro Sacconi. Fu una delle prima cose che fece il nuovo governo Berlusconi».

Emergenza Donna, dunque, dal titolo dell’iniziativa della Camera del Lavoro di Martina Franca. Un’emergenza che lungi dall’attenuarsi, mostra sempre più i suoi lati pericolosi. La donna-velina, la possibilità di farsi strada non attraverso il merito, ma per “cooptazione”, usando un eufemismo, attraverso pratiche che non riconoscono le capacità ma solo l’indice di gradimento dei potenti. Di solito uomini. La donna-velina non è il male in sè, ma lo diventa quando è l’unica pratica che trova il successo, che raccoglie il consenso, i curriculum vitae valutati attraverso la media seno-vita-glutei e non quella accademica.

La strada da percorrere è lunga, lo confermano i dati sulla disoccupazione, gli spaccati che non trovano spazio in televisione o sulle riviste. Festeggiare serve ancora, quindi, per ricordare, perchè, come conclude Valeria Fedeli: «L’8 marzo deve ritornare ad essere la festa laica del lavoro delle donne».

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