Questa è la traduzione di un bell’articolo di Phyllis Bennis, giornalista, studiosa e attivista politica statunitense che segue da sempre i temi del Medio-Oriente, che in maniera molto semplice racconta in che modo quello che sta accadendo a Gaza ha a che fare più con Obama che non con Hamas. Illuminante è ben poco…
La crisi di Gaza: dicembre 2008
I raid illegali di Israele contro la popolazione di Gaza hanno poco a che fare con la protezione dei civili israeliani, sostiene Phyllis Bennis. I bombardamenti sono strumentali alla politica interna israeliana e hanno il significato di respingere ogni chanche di negoziati seri tra le parti che potrebbero avere luogo grazie ai piani dell’amministrazione Obama.
Il prezzo di morte a Gaza continua ad aumentare. La carneficina è ovunque – per strada, in una moschea, ospedali, stazioni di polizia, una prigione, una fermata degli autobus per l’università, una fabbrica di materiali plastici, una stazione televisiva. Sembra impossibile, inaccettabile, fare un passo indietro per analizzare la situazione mentre corpi umani rimangono sepolti sotto le macerie, mentre padri e madri continuano a cercare i loro bimbi scomparsi, mentre i dottori continuano a lavorare per cucire insieme corpi mutili e bruciati senza l’attrezzatura necessaria e senza le medicine sufficienti. Gli ospedali hanno scarsa elettricità – l’embargo israeliano ha negato loro il carburante per i generatori. È un risvolto ironico del coinvolgimento di Israele in un precedente massacro – a Sabra e Shatila, in Libano nel 1982, furono i soldati israeliani ad accendere i razzi, rischiarando il cielo notturno in modo che i loro alleati libanesi potessero continuare ad uccidere.
Ma se siamo seriamente intenzionati a porre fine a questo massacro, questa volta, non abbiamo altra scelta che provare ad analizzare, provare a tracciare cosa ha causato questo ultimissimo massacro, studiare come fermarlo e solo allora come continuare il nostro lavoro per mettere fine all’occupazione e alle politiche di apartheid israeliane e per fare in modo che la politica statunitense si occupi davvero di giustizia e uguaglianza per tutti.
In sintesi:
· I bombardamenti israeliani rappresentano una seria violazione delle leggi internazionali – inclusa la Convenzione di Ginevra e una vasta gamma di leggi umanitarie.
· Gli Stati Uniti sono complici in queste violazioni – direttamente o indirettamente
· Il momento scelto per i bombardamenti ha poco a che fare con le politiche di protezione dei civili israeliani da parte di Stati Uniti e Israele.
· Questa grave escalation cancellerà ogni possibilità di seri negoziati che potrebbero avere luogo grazie ai piani dell’amministrazione Obama.
C’è molto lavoro da fare
fonte: Limes
Violazione del diritto internazionale
I bombardamenti israeliani alla Striscia di Gaza violano importanti articoli della legge internazionale che regola i casi di guerra e della Convenzione di Ginevra. Le violazioni riguardano sia gli obblighi degli occupanti di proteggere la popolazione del paese occupato, sia i chiarissimi requisiti delle leggi di guerra che proibiscono specifici atti. La prima, palese, violazione è la punizione collettiva – tutto il 1’500’000 di persone che vive nella Striscia di Gaza è stato punito per le azioni di pochi militanti.
La dichiarazione di Israele che i bombardamenti sono una “risposta” o una “rappresaglia” per i razzi palestinesi è una menzogna. Sparare razzi come viene fatto correntemente è infatti illegale – i palestinesi, come ogni popolo che vive sotto un’occupazione militare nemica, ha il diritto di resistere, anche con la forza se è necessario. Ma questo diritto non comprende l’uccisione dei civili. I razzi usati non possono mirare ad alcunché, in questo modo però di fatto mirano alla popolazione civile che vive nelle città israeliane e in questo modo diventano illegali. Sarebbe il caso di porre fine all’uso dei razzi – come molti palestinesi pensano, perché non è di nessuna utilità alla lotta per la fine dell’occupazione, ma anche perché è illegale rispetto alle leggi internazionali. Comunque, i razzi, illegali o meno, non danno a Israele il diritto di punire l’intera popolazione per questi atti. Una vendetta del genere è essenzialmente una “punizione collettiva” ed è perciò inequivocabilmente proibita dalla Convezione di Ginevra.
Un’altra violazione di Israele riguarda l’attacco ai civili. Questa violazione è coinvolge tre aspetti. Primo: Israele dichiara che i bombardamenti hanno come obiettivo direttamente le istituzioni “controllate da Hamas” che hanno a che fare con la sicurezza. Fin da quando Hamas ha la maggioranza e controlla il governo a Gaza, virtualmente tutti i dipartimenti di polizia e gli altri siti legati alla sicurezza sono stati colpiti. La polizia e le agenzie di sicurezza sono obiettivi civili, non militari. Non c’entrano col governo guidato da Hamas a Gaza, sono un’istituzione completamente separata dall’ala militare che (sebbene senza alcun significato, secondo la maggioranza) ha lanciato i missili. Secondo: alcuni degli attacchi erano diretti incontestabilmente a obiettivi civile: una fabbrica di materiali in plastica e un canale televisivo locale. E terzo: l’incredibile affollamento in cui versa Gaza, uno dei posti più densamente popolati al mondo, significa che la possibilità di colpire civili su larga scala era inevitabile e prevedibile come risultato. Il bombardamento di aree civili simili è illegale.
Gli Stati Uniti sono direttamente complici nelle violazioni della Convenzione di Ginevra accadute durante l’embargo della Striscia di Gaza. Le azioni israeliane – la reclusione forzata degli abitanti di Gaza all’interno dei territori, la chiusura del confine al passaggio della maggior parte del carburante, del cibo, delle attrezzature e degli altri beni umanitari; l’impedire agli osservatori ONU e agli altri internazionali e ai giornalisti di entrare – hanno sempre il supporto degli Stati Uniti e degli altri nella comunità internazionale. La risultante crisi umanitaria – che ha mai raggiunto le proporzioni catastrofiche come durante questi raid – è in parte responsabilità degli USA.
Un’altra violazione ancora riguarda la sproporzionata natura dell’attacco militare. I raid aerei hanno ucciso almeno 270 persone (ora sono più di 400, ndt), feriti più di 1000 (1900, ndt), molti di loro gravemente e tanti sono rimasti sepolti sotto le macerie, così il prezzo probabilmente sarà destinato a salire. L’impatto catastrofico era prevedibile e inevitabile, e di gran lunga esagerato rispetto ogni proclama di autodifesa o di protezione dei civili israeliani. (Si potrebbe notare che questa escalation non ha prodotto una maggiore sicurezza per Israele; al contrario, l’israeliano ucciso da un razzo palestinese sabato scorso, dopo l’inizio dell’assalto israeliano, è stato il primo ucciso da un anno a questa parte in questo modo).
I funzionari osservatori per i diritti umani, in particolare il professor Richard Falk, Special Rapporteur per i diritti umani nei Territori Occupati, come Padre Miguel d’Escoto, Presidente dell’Assemblea Generale, hanno rilasciato forti dichiarazioni che identificano le violazioni israeliane alla legge internazionale in particolare agli obblighi stabiliti dall’Onu per la protezione dei Palestinesi (guarda la dichiarazione di Falk). Ma non ci sono state risposte adeguate, in particolare di carattere operativo dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu. La dichiarazione del Consiglio, del 28 dicembre, era totalmente insufficiente, perché equiparava le colpe della devastazione di Gaza sia agli Occupanti che agli Occupati. E la dichiarazione non fa riferimento alle violazioni alla legge internazionale rispetto l’attacco israeliano o l’assedio di Gaza in cui tutta la popolazione è stata drasticamente punita. C’è un palese bisogno per l’Assemblea Generale di intervenire per reclamare il ruolo di protezione della popolazione mondiale da parte dell’Onu, che include evidentemente i Palestinesi, e non solo quello di risposta alle pretese delle superpotenze.
La complicità degli Stati Uniti
Gli USA rimangono direttamente complici delle violazioni israeliane sia secondo le proprie leggi sia secondo le leggi internazionali a causa dei continui aiuti militari. Gli attacchi aerei che stanno avvenendo ora sono fatti in maggior parte dagli F-16 e dagli elicotteri Apache, entrambi forniti ad Israele grazie alla concessione di 3 miliardi di dollari all’anno di soldi pubblici per gli aiuti militari. Tra il 2001 e il 2006, Washington ha trasferito a Israele più di 200 milioni di dollari in pezzi di ricambio per la flotta degli F-16. Proprio l’anno scorso, gli Stati Uniti hanno firmato un contratto di 1,3 miliardi con la Raytheon corporation, per fornire ad Israele di migliaia di TOW (missili anticarro teleguidati), Hellfire (missili aria-terra anticarro in dotazione agli elicotteri) e i missili cosiddetti “sfonda bunker”. In breve, l’attacco letale di Israele nella Striscia di Gaza oggi non sarebbe avvenuto senza il supporto militare degli Stati Uniti.
L’attacco israeliano viola anche le leggi statunitensi – in maniera specifica l’Arm Export Control Act (la legge che regola l’esportazione di armi), che proibisce l’uso di armi americane per qualsiasi scopo a parte una serie ristrettissima di circostanze: l’uso all’interno dei propri confini a scopo di difesa da un attacco. L’attacco a Gaza non rientrava in questi criteri. È chiaro che mirare alle stazioni della polizia (Israele non ha mai dichiarato che i razzi sparati da Gaza fossero da attribuire alla polizia palestinese) e ai canali televisivi non è qualificabile come autodifesa. E siccome gli Stati Uniti hanno confermato di essere a conoscenza dell’attacco prima che questo avvenisse, sono da considerare complici di queste violazioni. Inoltre, la ben nota storia delle violazioni di Israele alle leggi del diritto internazionale (dettagliate sopra) significa che i funzionari del Governo americano erano a conoscenza di queste violazioni, ma nonostante questo hanno fornito le armi a Israele, e questo li rende complici dei loro crimini.
Gli USA sono complici anche in maniera indiretta grazie alla protezione di Israele all’interno delle Nazioni Unite. Queste azioni, incluso l’uso o la minaccia dell’uso del veto nel Consiglio di Sicurezza e la dipendenza dalla cruda forza per mettere pressione alle diplomazie e ai governi affinchè ammorbidiscano le loro critiche nei confronti di Israele, tutto questo per proteggerlo e non permettere alla comunità internazionale di ritenerlo responsabile di alcunché.
I tempi di attacco di Israele su Gaza
La decisione israeliana di attaccare Gaza è stata politica e non legata alla sicurezza. Un paio di giorni prima delle incursioni aeree, fu Israele che rifiutò l’iniziativa diplomatica di Hamas volte ad estendere la tregua di sei mesi che durava da giugno e finiva il 26 dicembre. I funzionari di Hamas, che lavoravano attraverso i mediatori egiziani, hanno esortato Israele a revocare l’assedio di Gaza come presupposto per continuare il cessate il fuoco. Israele, incluso il ministro degli Esteri Tsipi Livni, del partito Kadima (centrista, nel contesto israeliano), respinse la proposta. Livni, che è andata in Egitto ma si è rifiutata di considerare seriamente la proposta di Hamas, è in corsa per diventare Primo Ministro, in una gara molto tesa; il suo più importante opponente è l’ulteriormente a destra Benyamin Netanyahu, l’ufficialmente intransigente del Likud, che ha fatto una campagna contro la Livni e il governo del Kadima per il loro presunto approccio “soft” alla questione palestinese. Con le elezioni che incombono a Febbraio, nessun candidato si può permettere di apparire se non super-militarista.
Oltretutto, è chiaro che il governo israeliano era ansioso di usare l’esercito mentre Bush era ancora in carica. Il Washington Post riporta una dichiarazione di un membro dell’amministrazione Bush che dice che Israele ha attaccato Gaza “perché loro volevano che accadesse prima che arrivi la nuova amministrazione. Non potendo prevedere in che modo essa gestirà la cosa. E questo è il motivo per cui essi volevano iniziare prima che la nuova amministrazione si insediasse”. I funzionari israeliani potrebbero o meno aver visto giusto a proposito della probabilità che Obama reagisca differentemente da Bush riguardo questo argomento – ma questo obbliga ognuno di noi in questo paese che ha votato speranzoso per Obama, di fare tutto il necessario per fare pressione su di lui affinchè il cambiamento sia buono davvero e possa ancora incrementare la speranza.
Obama e le possibilità future
L’escalation di violenza a Gaza renderà virtualmente impossibile ogni serio tentativo di negoziato per mettere fine all’occupazione. Ma rimane incerto se la sponsorizzazione per negoziati immediati sia di fatto prevista tra i primi impegni di Obama. La crisi corrente, comunque, sta a significare che ogni negoziato, sia esso apparentemente solo tra Israele e Palestina, sia coinvolgendo il “Quartetto” controllato dagli USA (ONU, UE, Russia e Stati Uniti, ndt), sarà in grado di andare al di là di un ritorno al periodo precedente i bombardamenti. Un periodo comunque di crisi, lontane dall’essere risolte, che erano caratterizzate dall’espansione degli insediamenti israeliani, il Muro dell’apartheid, i checkpoint paralizzanti come paralizzati erano i movimenti, il commercio e la vita quotidiana in tutto la Cisgiordania, il quasi impenetrabile assedio di Gaza, che prima dell’attuale aggressione militare, avevano creato una catastrofe umanitaria.
Cosa facciamo allora?
La risposta immediata è tutto: scrivere lettere ai membri del Congresso e al Dipartimento di Stato, manifestare davanti alla Casa Bianca e all’ambasciata israeliana, scrivere a chiunque possa fornire uno sbocco alle notizie, chiamare i talk-show in radio, denunciare la protezione dei rappresentanti Usa all’Onu ai crimini israeliani. Abbiamo bisogno di impegnarci nel processo di cambiamento di Obama e pianificare come fare pressione affinchè ci sia un reale cambiamento della politica americana in Medio Oriente. Dovremmo tutti partecipare al movimento di solidarietà e indignazione per Gaza. Ci sono già online una serie di petizioni – dovremmo firmarle tutte. Il movimento statunitense per la fine dell’occupazione israeliana sta mettendo a punto delle azioni a cui dovremmo partecipare.
Ma questo dopo. Non possiamo fermarci solo con le mobilitazioni. Abbiamo ancora da costruire un movimento per il BDS – boycott, divestment e sanctions (per il boicottaggio, le cessioni dei territori e le sanzioni, ndt), per costruire una campagna mondiale non-violenta di pressione economica per obbligare Israele a rispettare il diritto internazionale. Dobbiamo combattere contro gli aiuti militari Usa, in modo da dare un colpo di grazia alle aggressioni israeliane, dobbiamo combattere contro il supporto politico e diplomatico statunitense che impedisce all’Onu e alla comunità internazionale di chiedere contro ad Israele delle sue violazioni. Abbiamo da fare un duro lavoro di educazione e di appoggio, imparando dai movimenti che sono venuti prima di noi come essere coraggiosi abbastanza da chiamare qualcosa con il suo vero nome: le politiche israeliane sono politiche di apartheid, e devono essere combattute su queste basi.
Abbiamo tanto lavoro da fare.