Maroni e Ezio Mauro ci spiegano chi sono i black bloc

Mentre scrivo c’è in diretta la conferenza stampa del Movimento No Tav: della giornata di ieri è stato omesso il 95%, mentre (ovviamente aggungo io) è stato raccontato dai Tg solo il 5% della manifestazione. Il portavoce del movimento riporta le dinamiche che accadono lassù in montagna e che a noi, con i piedi a mollo tra l’Adriatico e lo Jonio potrebbero sfuggirci. Abbiamo visto nei tg di ieri lanci di sassi e lacrimogeni, polizia e manganelli, passamontagna e sciarpe. Per chi se lo ricorda, abbiamo visto una diapositiva di quello che dieci anni fa succedeva sempre nel nordovest d’Italia, dalle parti di piazza Alimonda. Eppure noi non ci siamo stati ieri, lassù in montagna, eppure abbiamo visto immagini che sappiamo non corrispondere a verità. Sappiamo che la Tav rappresenta il crocevia di interessi strategici, un pozzo di San Patrizio di denaro pubblico da riversare nelle tasche di pochi, sacrificando boschi e territorio. Lassù in montagna si sono scontrati due mondi, due visioni, due società, un po’ come raccontava il cartone animato Galaxy Express 999, due specie di esseri umani: chi ha può permettersi di avere un corpo meccanico e chi invece no.

Ma non voglio essere retorico e parlare di qualcosa a cui non ho partecipato fisicamente. Ci limitiamo a quello che tenta di fare di solito Officina, cioè l’analisi del racconto dei fatti.

Ieri le prime pagine dei tg nazionali riportavano la notizia degli scontri in Valsusa, delle decine di poliziotti feriti e di qualche manifestante contuso. Subito a commento della scarsa notizia (qui c’è il commento di Maroni, e qui l’identikit dei black bloc da parte del Tg1) le opinioni dei politici, tutti concordi alla condanna della violenza, da destra a sinistra.

In questo racconto però, non emergono i fatti. Anzi, così come viene narrata, la notizia è che un gruppo di manifestanti con competenze militari hanno preso di mira i cantieri della Tav. Non emerge per nulla il fatto che ieri c’è stata una manifestazione nazionale a cui hanno partecipato decine di migliaia di persone. Non emerge che in Val di Susa si stanno fronteggiando due modi diversi di intendere il futuro dell’uomo e della società. Non emergono i motivi del no, non emergono gli interessi del sì.

Se non fossimo dotati di strumenti di condivisione e di informazione p2p la conoscenza del fenomeno sarebbe ridotta all’opinione di Bersani o di Maroni, alle urla di Grillo, alle veline di Minzolini. Ma fortunatamente apriamo Facebook e scopriamo video e testimonianze, percorriamo tramite i link la rete e scopriamo articoli e racconti diversi. Non conformi, non allineati. La rete viene in soccorso al cittadino vittima di un pauroso deficit di informazione, che si manifesta in titoli su quattro colonne che condannano le proteste, che prendono spunti dai sassi lanciati per liquidare la volontà dei cittadini a vagiti di ignoranti.

Qui su Officina ci limitiamo a raccontare il racconto, che in questo caso pende solo da una parte: media nazionali che occupano gli spazi che disegnano realtà fittizie, mentre la conversazione, la nuvola delle informazioni invece pende dall’altra. Se non ci informiamo dagli arabi, meglio utilizzare Youtube.

La video notizia su Al Jazeera

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Il racconto di un manifestante

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Dov’è la rabbia?

Dov’è la rabbia quando un premier si sollazza con le ministre e la gente si suicida perchè non trova lavoro?

Dov’è la rabbia quando le ministre diventano ministre solo perchè costano meno di una moglie e sono più ubbidienti?

Dov’è la rabbia?

Dov’è la rabbia quando Marchionne dice che l’Italia è una palla al piede?

Dov’è la rabbia quando muore un operaio?

Dov’è la rabbia quando ti dicono che purtroppo ti devono licenziare?

Dov’è la rabbia quando non prendi lo stipendio?

Dov’è la rabbia quando tutto aumenta e non puoi acquistare nulla?

Dov’è la rabbia quando i mafiosi al comune perdono i milioni di euro dei finanziamenti europei?

Dov’è la rabbia quando a costruire case è solo uno e detta il prezzo del mercato?

Dov’è la rabbia quando non vedi futuro, non vedi presente, non vedi vie d’uscita?

Dov’è la rabbia quando per vent’anni ti hanno insegnato a non fidarti dei comunisti, dei sindacati, dei pacifisti, degli ambientalisti, dei pazzi che dicevano che forse così non andava bene?

Dov’è la tua rabbia, quando ti licenziano, quando mettono in cassa integrazione tua moglie, quando tuo figlio ti chiede i soldi per i libri, ti chiede la palestra, la chitarra, quando la tua ragazza non ha un regalo da tre anni, quando il tuo ragazzo chiede aiuto per il mutuo?

Dov’è la rabbia, quella che unisce che ci fa urlare che ci fa correre, che ci mette insieme, che pretende i diritti, li afferra con i denti, la rabbia che sanguina giustizia e democrazia, la rabbia feroce della rivolta contro l’oppressione?

Dov’è la rabbia?

Dove?

Lasciata per strada in cambio di un auto nuova, soffocata sul divano tra soap e reality, svenduta per un posto a nero, stracciata e gettata come il gratta e vinci che ti ostini a comprare sperando di cambiare la tua vita.

Dov’è la rabbia quando ti fottono la salute e ti ricattano perchè o così o niente?

Dov’è la rabbia quando intorno non vedi che gente indebitata, oppressa, distrutta, quando basterebbe andare a bussare con insistenza a chi ha comprato i nostri diritti per un piatto di lenticchie prodotte in Cina?

Dov’è la rabbia che agita le strade, le menti, che stringe forte l’idea di un mondo migliore?

Dov’è un mondo migliore?

Nelle nostre scelte quotidiane, nella capacità di stare fermi un giro e guardare oltre, immaginare cosa sarà.

Cercate la rabbia, per favore, alzate tappeti, svuotate cassetti, sventrate gli armadi. Da qualche parte ci dovrebbere essere, magari arrotolata con il diario del liceo, con la bandiera di Che Guevara. Sempre che non l’abbiate scambiata per un abbonamento a Mediaset Premium.

Stare nel mercato

Non comprare è potere.

Non possiamo esimerci dallo stare nel Mercato. Ogni giorno, quasi ogni nostra azione ci fa interagire con il Mercato: compriamo, vendiamo, consumiamo. Stiamo nel Mercato, siamo il Mercato.

Ma così come scegliamo di stare nello Stato, supportando o contestando, manifestando o perorando alcune idee, alcune parti a discapito di altre, tentando in qualche modo di influenzare con le nostre azioni e le nostre parole l’andamento delle cose, così possiamo stare nel Mercato, tentando di influenzare con le nostre scelte le scelte di chi lo dirige.

La mutazione dell’individuo da cittadino (portatore di diritti politici) a consumatore (portatore di portafoglio) in un primo momento ha destabilizzato la nostra consapevolezza riguardo il potere individuale, ma a parte una resistenza che è stata a mano a mano fiaccata portandoci letteralmente alla fame, ben presto abbiamo quasi tutti trovato il nostro posto al caldo nel mondo-mercato globale.

Se così non fosse, la spinta a delocalizzare la produzione e quindi la tendenza ad allargare la forbice tra ricchi (sempre più ricchi perchè i costi di produzione sono cinesi e i prezzi al dettaglio sono occidentali) e poveri (sempre più in miseria perchè precarizzati e quindi impoveriti della capacità di costruirsi autonomamente un futuro, oppure addirittura ridotti sul lastrico a causa delle scelte di delocalizzazione) sarebbe stata sicuramente più difficoltosa. In parole povere cioè, se non si fossero annientate negli ultimi 20 anni le forme di resistenza al liberismo riducendole a poche enclavi di eretici, Marchionne non avrebbe avuto la libertà di dire quello che ha detto da Fazio.

L’individuo mutato in consumatore si ritrova quindi in un mondo ostile dove non ha nè il diritto di influenzare la scelta politica (la farsa del bipolarismo e l’eccessiva delega sono due esempi) nè il diritto di partecipare alle scelte ecomiche in maniera attiva, essendo stato estromesso violentemente dai processi di produzione.

L’individuo/consumatore può solo comprare. E il gesto dell’acquisto, sempre con i suoi naturali limiti, sembra essere l’unica espressione di libertà concessa nel 2010 ai cittadini. Perchè comprare significa possedere e il possesso è la misura dell’essere umano (nella società liberista). Se non hai un lavoro (se non puoi consumare) non puoi essere cittadino italiano (v. legge Bossi-Fini).

Possiamo però ancora scegliere COSA comprare e soprattutto DA CHI. In questa scelta si esprime tutta la potenza della libertà che ci è rimasta. Possiamo scegliere di non comprare i prodotti di Israele finchè non termina il genocidio palestinese, possiamo scegliere di non comprare Coca Cola per le sue politiche in America Latina e in Africa, possiamo scegliere di non comprare Nestlè perchè è la multinazionale simbolo dell’imperialismo, e via boicottando. Questa libertà di scelta deve però, secondo le necessità imposte dalla crisi, espandersi non solo ai simboli del male, ma anche a tutto quello che impoverisce il nostro territorio. Non comprare automobili Fiat potrebbe essere la migliore risposta ai piani di Marchionne, non vestirsi Miroglio (Elena Mirò, Motivi…) è il gesto più potente che possiamo fare.

 

Da Taranto a Roma con Di Vittorio

“Il lavoro è un bene comune” – con la delegazione tarantina alla manifestazione della Fiom

C’è Di Vittorio con noi nel pullman che ci porta a Roma alla manifestazione “Il lavoro è un bene comune” indetta dalla Fiom. La sua storia scorre attraverso le immagini della fiction Rai interpretata da Favino che scorrono sui teleschermi del pullman. Macinando kilometri, rivivendo la nascita della Cgil, diretti verso Roma a ribadire che non tutti sono d’accordo che il lavoro diventi la vittima sacrificale della crisi economica. Né il lavoro e né tantomeno i lavoratori. Soprattutto i lavoratori.

Partiamo da Taranto prima dell’alba, le luci dell’Eni e dell’Ilva brillano lugubri nel buio di questo sabato di manifestazione. Imbocchiamo la statale, poi verso Massafra e quindi sull’autostrada. Cinque sono i pullman che partono da Taranto, dieci da tutta la provincia. Operai, studenti, militanti, comitati di quartiere, operatori sociali, pensionati, migranti. Tutti diretti all’appuntamento a Roma: quando la Fiom chiama, non si può non rispondere.

La prima fermata è per il caffè, incrociamo due autobus di pellegrini con la foto della Madonna di Lourdes sul parabrezza. Sul nostro campeggia la scritta Fiom Pullman n. 4 e un pupazzo di Hello Kitty. Prima di salire i discorsi si fanno subito duri: i lavoratori somministrati Ilva, precari della metallurgia, si lamentano del fatto che non ottengono risposte né dall’azienda né dal sindacato. La questione è sempre la stessa: essere assunti, non essere assunti, rimanere precari o disoccupati. E poi c’è la questione ambientale, che emerge sempre e comunque ogni volta che si parla dell’Ilva. Nico chiude la discussione dicendo: «Non mi possono chiedere di barattare la città con un posto di lavoro».

 

La delegazione della Fiom di Taranto

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Che Palazzo abbia finalmente ammazzato il Leviatano?

Dopo mesi di battaglie ieri è stato abbattuto il muro che ostruiva Via Trento a Martina Franca.

Il Leviatano è un mostro orribile che si scatena ogni volta che le classi entrano in guerra. Che siano esse operaie contro i padroni, o sudditi contro il re, il Leviatano si alza nella sua potenza e decide le sorti della battaglia. Ne parlava Hobbes nell’omonimo libro del 1600 e passa, in cui analizzava lo scontro del potere tra la monarchia e il popolo. Questo rapporto, una sorta di contratto sociale, costringe gli uni a seguire la legge dell’altro in modo che  non si viva allo stato di natura: nella giungla la lotta tra predatori e predati è perenne e per evitare questo, gli esseri umani, si danno delle leggi, affidano il potere ad uno, o ad una classe, e evitano di vivere nel perenne terrore di essere uccisi.

A Martina Franca non accade questo: l’amministrazione comunale assente permette che viga la legge del più forte. Come è accaduto in via Trento fino a ieri, dove un importante imprenditore locale ha fatto valere i suoi diritti di proprietà con la “forza” occupando la strada che le carte dicono essere sua. I cittadini hanno subito per qualche anno, ma ad ogni avanzamento di centimetro il malumore cresceva, fino a fine marzo, quando un comitato spontaneo di cittadini ha deciso di dire basta alla situazione chiedendo un intervento dell’amministrazione. Nel frattempo era stato approvato un piano di riqualificazione dell’area, considerando come dato di fatto l’appropriazione della particella privata da parte del Comune. Per dispetto l’imprenditore ha allargato sempre più i confini reali della proprietà, con gradini, cancelli, grate, muri e alberi, fino quasi a farli coincidere con l’effettiva dimensione della particella posseduta.

via trento dall'alto (da notare la vicinanza delle strisce bianche a quella gialla)

All’epoca della costruzione della strada, infatti, il sindaco di Martina era un certo Motolese, famoso perchè concludeva gli affari con semplici strette di mano. Il caso di Via Trento è uno dei tanti: la strada appartiene a tre privati, oltre a Lucarella, la famiglia Lupoli, poi Bellanova e Raguso. Non c’è mai stato un pubblico atto di esproprio o qualcosa del genere e la strada potrebbe essere chiusa da una sbarra senza che si violi nessuna legge. Il caso di Lucarella poi, è particolare. Alcuni testimoni narrano infatti che l’accordo con Motolese abbia avuto come obiettivo l’apertura delle due saracinesche che insistono sulla strada: il sindaco dava l’autorizzazione all’apertura, l’imprenditore concedeva la strada. Una stretta di mano e l’affare è fatto. Solo che, succeduto al padre il figlio, questi vuole rivendicare i diritti di una proprietà mai formalmente alienata.

progetto via trento

Siamo ai nostri giorni: i cittadini protestano, non possono transitare e non possono parcheggiare, i vigili multano e i confini si allargano. Il comitato non ce l’ha con l’imprenditore, come è ovvio, ma con l’amministrazione inadempiente. Solo che l’imprenditore ha modi di fare manco troppo gentili e potrebbe attirare su di sè il malumore. Nel frattempo  infatti aumenta e si arriva all’ennesima manifestazione per strada, poi al Comune e infine ieri, dopo tanto lottare, con un decreto urgente, gli operai del comune, spalleggiati da uno schieramento di polizia che manco il G8, si ingegnano ad abbattere il muro e ridare al pubblico ciò che deve essere pubblico. Solo che tutto ciò rimane illegale: la proprietà è privata e secondo Lucarella Angelo, nipote di quello della stretta di mano, il diritto pubblico è superiore, ma deve essere corrisposta un’indennità corrispondente al danno. Il suolo è di vitale importanza per l’azienda e la somma predisposta dall’amministrazione è troppo bassa.

Alla fine il Leviatano è intervenuto con la sua forza bruta a risolvere una questione che aveva le carte in regola per degenerare. Ma che non è detto che tutto questo sia finito qui…

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Il popolo dei senza libertà, secondo una ONG Usa, siamo ultimi in Europa

Ecco pubblicata la classifica di Freedom House sulla libertà di stampa nel mondo, e come sospettavamo l’Italia non è tra i paesi in cui i giornalisti sono liberi di scrivere quello che vorrebbero. Dire che non ce ne fossimo accorti sarebbe ipocrisia, ma che la notizia arrivi da un centro studi diciamo che un po’ fa riflettere.Ma fa riflettere il fatto di come la notizia sia stata riportata dai media, i soliti, un trafiletto sperso tra le pagine e i commenti sul divorzio di Veronica da Silvio, una lieta notizia ambientata ad Onna, e l’influenza suina che a quanto pare è stata sconfitta prima che si propagasse. Certo, direte voi, se fossimo in un paese libero, la notizia non verrebbe data perchè non è una notizia, oppure sarebbe data con squilli di tromba e con dibattiti infiniti. Invece, e questo è proprio il simbolo di quello che accade in Italia, una notizia terrificante come questa viene data con nonchalanche, tipo: “ah, a proposito, non viviamo in un paese libero…”.

Intanto, le motivazioni per cui l’Italia viene posizionata dopo il Benin e il “civilissimo e democratico” Israele, sono queste:

“The region registered one status downgrade in 2008, as Italy slipped back into the Partly Free range thanks to the increased use of courts and libel laws to limit free speech, heightened physical and extralegal intimidation by both organized crime and far-right groups, and concerns over media ownership and influence. The return of media magnate Silvio Berlusconi to the premiership reawakened fears about the concentration of state-owned and private outlets under a single leader”.

In pratica, dicono questi tipi, oltre che un po’ di leggi fatte per rendere il lavoro di cronista più burocratizzato e farraginoso, ci si mette anche Berlusconi e il suo dannatissimo et sempiterno conflitto di interessi. Non siamo un paese libero perchè prima di essere capo del governo il Nostro controllava quasi tutti i giornali e le tivvù.

E non sono usate parole miti, ma: il risveglio delle paure di una concentrazione di potere nelle mani di una sola persona…

E allora, direte, che si fa? Si fa che si inizia a guardarsi intorno alla ricerca di alternative (Officina sarà o non sarà edita da Mondadori?), oppure, e questo sarebbe già una cosa bella in sè, potremo iniziare di nuovo ad indignarci profondamente perchè c’è qualcosa che non va. Qualcosa non va nel Paese in cui la Liberazione diventa Libertà, qualcosa non va nel Paese in cui governa il Popolo della Libertà, qualcosa non va in una democrazia che divide il popolo in quelli che vogliono la Libertà e quelli che sono Democratici. Qualcosa non va se si sente il bisogno di scrivere queste parole.

Ecco il link della Freedom House dove c’è la statistica dei paesi liberi e le motivazioni.

Protocollo d’intesa tra sindacati e amministrazione. La casa di riposo non si tocca.

Dopo ore di trattative tra sindacati e amministrazione, finalmente si raggiunto un accordo di programma tra le parti. La casa di riposo deve chiudere temporaneamente, giusto il tempo di fare gli interventi restaurativi dell’immobile. Nel frattempo gli anziani ospiti saranno ospitati in strutture private, la cui retta sarà tutta a carico del Comune. I lavoratori invece saranno temporaneamente assegnati ad altre mansioni, che rientrano però nelle loro competenze. La cosa importante, come si evince dal protocollo di intesa, è che sarà costituito un tavolo paritetico tra Comune (rappresentato dal Sindaco e dall’assessore ai Servizi Sociali), da un rappresentante per sindacato e da un rappresentante per i lavoratori. Il tavolo avrà il compito di monitorare l’andamento dei lavori e il rispetto del protocollo. Si è aperta una speranza quindi, l’amministrazione, messa davanti alle sue responsabilità, ha fatto il suo dovere: salvaguardare il benessere dei cittadini e per Martina c’è stata una grande lezione: scendere il piazza paga…

Contro la chiusura della casa di riposo comunale

Ecco che si palesa la volontà di privatizzare tutto il privatizzabile, a partire dai servizi sociali. A Martina Franca l’amministrazione Palazzo ha deciso che la casa di riposo comunale, che ospita 13 persone, deve chiudere. Martedì 31 lo sgombero e il trasferimento degli ospiti in strutture private. I sindacati, capeggiati da un’agguerrita Isabella Massafra, dicono no e sabato scorso hanno indetto una manifestazione in cui si proponeva la strategia della lotta contro la decisione del Comune. La gente, non è il caso di dirlo, esasperata ha avuto modo di esprimere quello che pensa del Palazzo Ducale. Ascoltare per credere…

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LA DIFFERENZIATA, QUESTA SCONOSCIUTA

Oggi pomeriggio incontro sui rifiuti all’auditorium Cappelli. Cgil Cisl e Uil: dal Comune serve trasparenza.

Qualche mese fa, passando a piedi dalle parti del Carmine, si poteva notare un cassonetto particolare. Attirava l’attenzione perché aveva sul davanti l’adesivo con su scritto “Comune di Scanzano”. Era proprio davanti al tabaccaio che sta di fronte alla scuola elementare. Un vecchio cassonetto di come ce ne sono tanti in giro, ma diverso perché recava con sé il marchio di un’altra vita. Diciamo un cassonetto di seconda mano. Ma se il riutilizzo di qualcosa, a maggior ragione se a farlo è una ditta di smaltimento dei rifiuti, non deve preoccupare, il nome Scanzano invece rievoca brutti ricordi, legati guarda caso ai rifiuti. Tossici. Anni fa infatti, i cittadini di Scanzano Jonico si mobilitarono in massa per dire no alla presenza dei rifiuti tossici. La città di Martina, forse solidale con la loro lotta, ricorda quell’evento ospitando un cassonetto (l’unico di cui abbiamo notizia) di quel comune. La foto del cassonetto fu pubblicata dallo scrivente sul blog Officina Narrativa e immediatamente dopo l’adesivo è stato strappato.

Intanto per oggi pomeriggio i sindacati confederali, Cgil Cisl e Uil, organizzano un incontro che ha per tema proprio i rifiuti, in cui parleranno amministratori comunali provinciali e regionali. Uno dei motivi dell’incontro, si legge sul documento unitario dei sindacati, è la tassa sui rifiuti che ogni anno aumenta del 50 percento. Un aumento che sarebbe giustificato da un corrispettivo aumento della produzione di immondizia, ma dai dati si evince il contrario. Sarà legato alle penalità che il Comune paga per non aver raggiunto gli obiettivi di raccolta differenziata, o a varie irregolarità. Una fra le tante, si legge nel documento, è il fatto che non si fa una gara d’appalto per lo smaltimento dei rifiuti da almeno sei anni, prorogando di anno in anno il capitolato stipulato nel 1993 con la Tradeco. Al comune rispondono che dipende dall’Ato, da Massafra, dal sindaco Tamburrano, ma interpellata mesi fa sull’argomento l’assessore martinese competente, la vicesindaco Maffei, non ha risposto. Anzi, ha negato l’intervista più volte, dicendo di non conoscere l’argomento. Per questa sera si spera abbia studiato.

Poi c’è la raccolta differenziata, croce e delizia di ogni amministrazione pubblica, due parole tanto abusate ma di cui non si conosce il significato. A Martina tempo fa uscirono titoli cubitali sui giornali in cui si diceva che grazie all’amministrazione Palazzo la raccolta differenziata era aumentata del 50 percento. E basta. Non si diceva che il 50 percento del tre percento è un nulla. Secondo gli obiettivi imposti dalla Regione, a loro volta mutuati dall’Unione Europea, avremmo già dovuto essere intorno al 40 percento, mentre Martina è ferma al quattro. E non è un problema del sud, dato che abbiamo esempi vicinissimi di raggiungimento di questi obiettivi, come a Palagianello o a Ceglie Messapica, in cui sono stati addirittura eliminati i cassonetti.

Sia Isabella Massafra che Augusto Busetti, interrogati sull’argomento, rispondono che l’incontro è stato organizzato anche perché il Comune non ha mai risposto alle richieste dei sindacati di chiarire la faccenda, a loro volta spinti anche dalle migliaia di cittadini che sono costretti a pagare sempre più tasse. In primo luogo chiedono trasparenza, nei rapporti con i cittadini e nelle pratiche di gestione dei rifiuti, trasparenza che è sempre mancata. Essi si augurano che oggi alle sei di pomeriggio, con i rappresentanti locali, la sopracitata Maffei, il consigliere Pentassuglia, l’assessore provinciale Conserva e l’assessore regionale Losappio, possa essere un momento di partenza per la risoluzione della questione.

Intanto il cassonetto di Scanzano, nonostante abbiano strappato via l’adesivo, continua ad essere lì, incurante di quello che accade intorno, a monito perenne di quello che potrebbe accadere se i cittadini tutti manifestassero il proprio dissenso.