Dov’è la rabbia?

Dov’è la rabbia quando un premier si sollazza con le ministre e la gente si suicida perchè non trova lavoro?

Dov’è la rabbia quando le ministre diventano ministre solo perchè costano meno di una moglie e sono più ubbidienti?

Dov’è la rabbia?

Dov’è la rabbia quando Marchionne dice che l’Italia è una palla al piede?

Dov’è la rabbia quando muore un operaio?

Dov’è la rabbia quando ti dicono che purtroppo ti devono licenziare?

Dov’è la rabbia quando non prendi lo stipendio?

Dov’è la rabbia quando tutto aumenta e non puoi acquistare nulla?

Dov’è la rabbia quando i mafiosi al comune perdono i milioni di euro dei finanziamenti europei?

Dov’è la rabbia quando a costruire case è solo uno e detta il prezzo del mercato?

Dov’è la rabbia quando non vedi futuro, non vedi presente, non vedi vie d’uscita?

Dov’è la rabbia quando per vent’anni ti hanno insegnato a non fidarti dei comunisti, dei sindacati, dei pacifisti, degli ambientalisti, dei pazzi che dicevano che forse così non andava bene?

Dov’è la tua rabbia, quando ti licenziano, quando mettono in cassa integrazione tua moglie, quando tuo figlio ti chiede i soldi per i libri, ti chiede la palestra, la chitarra, quando la tua ragazza non ha un regalo da tre anni, quando il tuo ragazzo chiede aiuto per il mutuo?

Dov’è la rabbia, quella che unisce che ci fa urlare che ci fa correre, che ci mette insieme, che pretende i diritti, li afferra con i denti, la rabbia che sanguina giustizia e democrazia, la rabbia feroce della rivolta contro l’oppressione?

Dov’è la rabbia?

Dove?

Lasciata per strada in cambio di un auto nuova, soffocata sul divano tra soap e reality, svenduta per un posto a nero, stracciata e gettata come il gratta e vinci che ti ostini a comprare sperando di cambiare la tua vita.

Dov’è la rabbia quando ti fottono la salute e ti ricattano perchè o così o niente?

Dov’è la rabbia quando intorno non vedi che gente indebitata, oppressa, distrutta, quando basterebbe andare a bussare con insistenza a chi ha comprato i nostri diritti per un piatto di lenticchie prodotte in Cina?

Dov’è la rabbia che agita le strade, le menti, che stringe forte l’idea di un mondo migliore?

Dov’è un mondo migliore?

Nelle nostre scelte quotidiane, nella capacità di stare fermi un giro e guardare oltre, immaginare cosa sarà.

Cercate la rabbia, per favore, alzate tappeti, svuotate cassetti, sventrate gli armadi. Da qualche parte ci dovrebbere essere, magari arrotolata con il diario del liceo, con la bandiera di Che Guevara. Sempre che non l’abbiate scambiata per un abbonamento a Mediaset Premium.

Vivere con duecento euro al mese

Intervista a Teresa Palmisano, disoccupata da tre anni, che prende carta e penna e scrive ai giornali

È arrabbiata Teresa. Stanca delle pratiche che si bloccano negli uffici, dei tempi che si allungano, della tranquillità perduta. Teresa Palmisano è un’operaia impiegata nel tessile di Martina Franca, il marito lavora in un impresa edile. Entrambi licenziati, lei da tra anni ormai, lui da novembre. Ha usufruito degli ammortizzatori sociali previsti, la cassa integrazione ordinaria e straordinaria, ora aspetta la cassa in deroga, quella garantita dalla Regione, dato che quella statale si è esaurita.

È l’ennesima vittima di quella crisi del settore tessile che sta lentamente erodendo tutto il tessuto produttivo martinese, arrivando al licenziamento di più di metà degli addetti. La crisi del settore viene moltiplicata per la crisi sistemica che sta colpendo il credito, le banche. Non essendo un periodo roseo e non potendo rischiare, queste sono restie a prestare denaro alle aziende per gli anticipi sulle commesse. Le ditte, soprattutto le più piccole, le contoterziste, chiudono per sempre. Nel frattempo in città tutto scorre come se nulla fosse, ma il fiume pestifero di disoccupazione ha la fonte molto in alto (la ditta di Teresa, la Fides, ha licenziato 37 dipendenti tre anni fa) e non se ne intravede la foce.

La settimana scorsa, Teresa prende carta e penna e scrive una lettera ai giornali, per raccontare quello che sta accadendo. La incontriamo alla Camera del Lavoro di Martina Franca, dove ogni giorno aiuta gli altri come lei a sbrigare pratiche.

Cosa ti ha spinto a scrivere?

L’impossibilità di tenermi tutto dentro, la rabbia di vivere questa situazione, l’impossibilità di risolvere. Non sono una che si lamenta, non racconto la mia esperienza a tutti. Non so cosa mi sia preso, ma ad un certo punto non ce l’ho fatta più.

Rabbia contro chi, contro cosa?

Contro la situazione, l’impossibilità di vivere normalmente, contro il Governo, che sembra consideri me e quelli nella mia stessa condizione come ferri vecchi da buttare, da mettere da parte. Mi sento messa da parte, di non poter fare nulla. Sono arrabbiata con gli uffici che bloccano le pratiche, con la lentezza dell’Inps. L’altro giorno sono andata all’Inps, all’ufficio di Martina, per chiedere notizie sulla pratica della mia cassa in deroga. L’impiegato mi ha risposto che dipende dall’azienda, e non da loro. Bene, ho dovuto spiegare all’impiegato dell’Inps di Martina come funziona: una pratica del genere è di competenza loro e non dell’azienda. Poi ce l’ho con chi nonostante è in cassa integrazione, chi ha l’assegno di disoccupazione, lavora a nero. Con i pensionati che lavorano a nero.

Dove lavorano a nero?

In alcune aziende, che preferiscono avere manodopera non regolare. Tante delle mie ex colleghe lavorano, anche se sono in cassa integrazione. Mi chiedo se sia giusto che uno abbia il doppio stipendio e noi in casa nemmeno uno.

Cosa succede in casa tua?

Io prendevo mille euro di cassa integrazione straordinaria, che si è bloccata a novembre. E il 15 di quel mese mio marito ha perso il lavoro. Lui guadagnava ottocento euro e, tolti i trecento di affitto, riuscivamo a vivere bene, mantenendo una figlia di dodici e una di sei anni. Ma ora niente. Da novembre in casa nostra non entra una lira. E tutto si sta rompendo, non c’è più tranquillità. Con mio marito, con mia figlia grande che non capisce cosa sta accadendo e non vuole sentirsi diversa dalle sue amiche. Gli unici soldi che entrano sono quelli che guadagno arrangiandomi a fare le pulizie. Cento euro ogni due settimane.

Come si fa a vivere con duecento euro al mese?

Ci arrangiamo. Io faccio tutto in casa. Con cinquanta centesimi di farina faccio tre chili di pane. La salsa per la pasta la faccio io, macinando i pomodori. Cerco di andare il meno possibile al supermercato. Naturalmente abbiamo rinunciato ad uscire la sera, e quando vado al mercato vado solo per guardare…

Nonostante tutto però passi molto tempo al sindacato.

Già, mi fa pensare di meno a quello che mi aspetta a casa. Poi mi piace imparare, soprattutto quello che riguarda il lavoro, per evitare di essere presa in giro. Così mi metto a disposizione di chi come me viene dallo stesso settore e mi chiede una mano.

Cosa ti aspetti, cosa vorresti che accadesse?

Sono sicura di non essere l’unica in queste condizioni, ce ne sono tanti come me e tante famiglie che sono costrette ad indebitarsi per pagare le bollette, l’affitto. Non è possibile che non si faccia niente, che non si lotti per uscire dalla situazione. Non c’è bisogno dell’elemosina, non ne voglio. Due settimane fa sono andata dal sindaco per parlargli della mia situazione. Non volevo un aiuto economico, ma che partecipasse con noi alla nostra lotta, che prendesse a cuore la situazione di tutti quelli come me. Ma forse non ha capito: ha promesso di trovarmi lavoro…