Intervista a Teresa Palmisano, disoccupata da tre anni, che prende carta e penna e scrive ai giornali
È arrabbiata Teresa. Stanca delle pratiche che si bloccano negli uffici, dei tempi che si allungano, della tranquillità perduta. Teresa Palmisano è un’operaia impiegata nel tessile di Martina Franca, il marito lavora in un impresa edile. Entrambi licenziati, lei da tra anni ormai, lui da novembre. Ha usufruito degli ammortizzatori sociali previsti, la cassa integrazione ordinaria e straordinaria, ora aspetta la cassa in deroga, quella garantita dalla Regione, dato che quella statale si è esaurita.
È l’ennesima vittima di quella crisi del settore tessile che sta lentamente erodendo tutto il tessuto produttivo martinese, arrivando al licenziamento di più di metà degli addetti. La crisi del settore viene moltiplicata per la crisi sistemica che sta colpendo il credito, le banche. Non essendo un periodo roseo e non potendo rischiare, queste sono restie a prestare denaro alle aziende per gli anticipi sulle commesse. Le ditte, soprattutto le più piccole, le contoterziste, chiudono per sempre. Nel frattempo in città tutto scorre come se nulla fosse, ma il fiume pestifero di disoccupazione ha la fonte molto in alto (la ditta di Teresa, la Fides, ha licenziato 37 dipendenti tre anni fa) e non se ne intravede la foce.
La settimana scorsa, Teresa prende carta e penna e scrive una lettera ai giornali, per raccontare quello che sta accadendo. La incontriamo alla Camera del Lavoro di Martina Franca, dove ogni giorno aiuta gli altri come lei a sbrigare pratiche.
Cosa ti ha spinto a scrivere?
L’impossibilità di tenermi tutto dentro, la rabbia di vivere questa situazione, l’impossibilità di risolvere. Non sono una che si lamenta, non racconto la mia esperienza a tutti. Non so cosa mi sia preso, ma ad un certo punto non ce l’ho fatta più.
Rabbia contro chi, contro cosa?
Contro la situazione, l’impossibilità di vivere normalmente, contro il Governo, che sembra consideri me e quelli nella mia stessa condizione come ferri vecchi da buttare, da mettere da parte. Mi sento messa da parte, di non poter fare nulla. Sono arrabbiata con gli uffici che bloccano le pratiche, con la lentezza dell’Inps. L’altro giorno sono andata all’Inps, all’ufficio di Martina, per chiedere notizie sulla pratica della mia cassa in deroga. L’impiegato mi ha risposto che dipende dall’azienda, e non da loro. Bene, ho dovuto spiegare all’impiegato dell’Inps di Martina come funziona: una pratica del genere è di competenza loro e non dell’azienda. Poi ce l’ho con chi nonostante è in cassa integrazione, chi ha l’assegno di disoccupazione, lavora a nero. Con i pensionati che lavorano a nero.
Dove lavorano a nero?
In alcune aziende, che preferiscono avere manodopera non regolare. Tante delle mie ex colleghe lavorano, anche se sono in cassa integrazione. Mi chiedo se sia giusto che uno abbia il doppio stipendio e noi in casa nemmeno uno.
Cosa succede in casa tua?
Io prendevo mille euro di cassa integrazione straordinaria, che si è bloccata a novembre. E il 15 di quel mese mio marito ha perso il lavoro. Lui guadagnava ottocento euro e, tolti i trecento di affitto, riuscivamo a vivere bene, mantenendo una figlia di dodici e una di sei anni. Ma ora niente. Da novembre in casa nostra non entra una lira. E tutto si sta rompendo, non c’è più tranquillità. Con mio marito, con mia figlia grande che non capisce cosa sta accadendo e non vuole sentirsi diversa dalle sue amiche. Gli unici soldi che entrano sono quelli che guadagno arrangiandomi a fare le pulizie. Cento euro ogni due settimane.
Come si fa a vivere con duecento euro al mese?
Ci arrangiamo. Io faccio tutto in casa. Con cinquanta centesimi di farina faccio tre chili di pane. La salsa per la pasta la faccio io, macinando i pomodori. Cerco di andare il meno possibile al supermercato. Naturalmente abbiamo rinunciato ad uscire la sera, e quando vado al mercato vado solo per guardare…
Nonostante tutto però passi molto tempo al sindacato.
Già, mi fa pensare di meno a quello che mi aspetta a casa. Poi mi piace imparare, soprattutto quello che riguarda il lavoro, per evitare di essere presa in giro. Così mi metto a disposizione di chi come me viene dallo stesso settore e mi chiede una mano.
Cosa ti aspetti, cosa vorresti che accadesse?
Sono sicura di non essere l’unica in queste condizioni, ce ne sono tanti come me e tante famiglie che sono costrette ad indebitarsi per pagare le bollette, l’affitto. Non è possibile che non si faccia niente, che non si lotti per uscire dalla situazione. Non c’è bisogno dell’elemosina, non ne voglio. Due settimane fa sono andata dal sindaco per parlargli della mia situazione. Non volevo un aiuto economico, ma che partecipasse con noi alla nostra lotta, che prendesse a cuore la situazione di tutti quelli come me. Ma forse non ha capito: ha promesso di trovarmi lavoro…