Strage di Oslo: colpa di Call of Duty (e Marilyn Manson)

Immagine liberamente tratta da www.fpsteam.it

Il Tg1 continua a mantenere saldo il suo stile tipico del giornalismo d’inchiesta: qualche decina di secondi di un servizio montato con scene di videogame e di musica metal per raccontarci, in sintesi, che se Breivik ha ucciso, lo ha fatto perchè appassionato di Call of Duty:  “un mondo virtuale in cui la musica e il sangue finto annullano la percezione del dolore e della morte”.

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=DtFIWoKbwW4&feature=player_embedded]

Il servizio non l’ho visto in diretta, il Tg1 non riesco più a guardarlo, ma Pino Bruno ha fatto in modo che non passasse inosservato.

Questa tesi pare sia stata sposata anche dalla Binetti, che l’ha esposta durante il programma KlausCondicio di Klaus Davi (ne dà notizia il sito Ludomedia):

“Noi facciamo limitazioni nella vendita di alcolici e di sigarette ai minori. Sulle confezioni ci sono le indicazioni che chiariscono i danni alla salute (i videogiochi sono un danno per la salute? ndr.). E’ evidente che i limiti sono aggirabili, ma abbiamo almeno cercato di proteggere chi è più esposto. Di dare cioè un segnale, assumendoci la responsabilità. Aumentare il livello di prudenza è un obbligo morale. Questa è una della cose più importanti di cui si dovrà occupare il costituendo Garante dell’Infanzia, cioè la prevenzione; che non va intesa come censura, come limitazione delle libertà individuale, ma come una misura di prevenzione che garantisce la libertà di molte altre persone”

Questa tesi porta con sè diversi livelli di lettura:

Il primo riguarda il concetto di responsabilità: pensare che un videogioco o un genere musicale siano capaci di influenzare o di svolgere un ruolo pedagogico, significa voler volutamente e malignamente distogliere l’attenzione da dinamiche ben più imbarazzanti da spiegare. Breivik ha scritto un memoriale lunghissimo in cui spiega per filo e per segno la sua intenzione e la sua ispirazione, la sua appartenenza a ideologie di destra estrema, di cui comunque la Scandinavia è da sempre incubatrice. La strage di Oslo racconta sì di uno psicopatico che è riuscito a fare un po’ quello che voleva per un’oretta, ma è simbolo di una sottovalutazione generale di alcune radicalizzazioni. Il proselitismo di movimenti xenofobi e di estrema destra è più capillare di quanto si pensi ed è anche alimentato e in qualche modo legittimato da scelte politiche ufficiali (vedi in Italia le leggi sull’immigrazione) o da dichiarazioni di rappresentanti politici da TSO.

Il secondo livello di lettura riguarda invece la responsabilità sociale dei media: alla base delle farneticazioni razziste e naziste di Breivik, ci sono l’odio e la paura alimentati da un sistema mediatico che non racconta il diverso e indica nell’altro la responsabilità di qualsiasi cosa di brutto accada, come ad esempio la prima pagina de Il Giornale che indicava negli estremisti islamici i colpevoli della tragedia. Quanto accaduto in Norvegia è il risultato di anni di martellamento mediatico contro i migranti, contro i diversi, contro tutto ciò che in qualche maniera mette in discussione l’etnocentrismo occidentale. Il servizio di Virgina Lozito del Tg1, una giornalista di Ginosa che dice ispirarsi al reporter americano Walter Lippmann (qualche dubbio mi pare legittimo), è un fiume di stereotipi e di clichè, vomitati senza soluzione di continuità verso un pubblico il più delle volte diseducato e già preparato ad assorbire i concetti semplici del servizio. Un pubblico che è pronto a prendere per vero quanto dice il Tg1 perchè è il Tg1 e perchè il servizio racconta di uno scenario verosimile, concreto, in cui tutti possono ritrovarsi: il figlio o il nipote che giocano con i videogame piccoli terroristi in miniatura pronti a far fuori chiunque. Un servizio pericoloso, criminale, perchè diffonde notizie non verificate perchè non verificabili, una pappa pronta da servire a persone diseducate ai media, ma assuefatti alla estrema semplificazione che essi fanno del mondo che ci circonda. C’è una strage? Sono stati i musulmani. Il terrorista è biondo e con gli occhi azzurri? Allora è colpa di Call of Duty (e un po’ di Marilyn Manson).

Infine l’autrice del servizio dimostra di non sapere nemmeno di cosa sta parlando: Call of Duty è un videogioco in cui i nazisti vengono cacciati, non addestrati.

Maroni e Ezio Mauro ci spiegano chi sono i black bloc

Mentre scrivo c’è in diretta la conferenza stampa del Movimento No Tav: della giornata di ieri è stato omesso il 95%, mentre (ovviamente aggungo io) è stato raccontato dai Tg solo il 5% della manifestazione. Il portavoce del movimento riporta le dinamiche che accadono lassù in montagna e che a noi, con i piedi a mollo tra l’Adriatico e lo Jonio potrebbero sfuggirci. Abbiamo visto nei tg di ieri lanci di sassi e lacrimogeni, polizia e manganelli, passamontagna e sciarpe. Per chi se lo ricorda, abbiamo visto una diapositiva di quello che dieci anni fa succedeva sempre nel nordovest d’Italia, dalle parti di piazza Alimonda. Eppure noi non ci siamo stati ieri, lassù in montagna, eppure abbiamo visto immagini che sappiamo non corrispondere a verità. Sappiamo che la Tav rappresenta il crocevia di interessi strategici, un pozzo di San Patrizio di denaro pubblico da riversare nelle tasche di pochi, sacrificando boschi e territorio. Lassù in montagna si sono scontrati due mondi, due visioni, due società, un po’ come raccontava il cartone animato Galaxy Express 999, due specie di esseri umani: chi ha può permettersi di avere un corpo meccanico e chi invece no.

Ma non voglio essere retorico e parlare di qualcosa a cui non ho partecipato fisicamente. Ci limitiamo a quello che tenta di fare di solito Officina, cioè l’analisi del racconto dei fatti.

Ieri le prime pagine dei tg nazionali riportavano la notizia degli scontri in Valsusa, delle decine di poliziotti feriti e di qualche manifestante contuso. Subito a commento della scarsa notizia (qui c’è il commento di Maroni, e qui l’identikit dei black bloc da parte del Tg1) le opinioni dei politici, tutti concordi alla condanna della violenza, da destra a sinistra.

In questo racconto però, non emergono i fatti. Anzi, così come viene narrata, la notizia è che un gruppo di manifestanti con competenze militari hanno preso di mira i cantieri della Tav. Non emerge per nulla il fatto che ieri c’è stata una manifestazione nazionale a cui hanno partecipato decine di migliaia di persone. Non emerge che in Val di Susa si stanno fronteggiando due modi diversi di intendere il futuro dell’uomo e della società. Non emergono i motivi del no, non emergono gli interessi del sì.

Se non fossimo dotati di strumenti di condivisione e di informazione p2p la conoscenza del fenomeno sarebbe ridotta all’opinione di Bersani o di Maroni, alle urla di Grillo, alle veline di Minzolini. Ma fortunatamente apriamo Facebook e scopriamo video e testimonianze, percorriamo tramite i link la rete e scopriamo articoli e racconti diversi. Non conformi, non allineati. La rete viene in soccorso al cittadino vittima di un pauroso deficit di informazione, che si manifesta in titoli su quattro colonne che condannano le proteste, che prendono spunti dai sassi lanciati per liquidare la volontà dei cittadini a vagiti di ignoranti.

Qui su Officina ci limitiamo a raccontare il racconto, che in questo caso pende solo da una parte: media nazionali che occupano gli spazi che disegnano realtà fittizie, mentre la conversazione, la nuvola delle informazioni invece pende dall’altra. Se non ci informiamo dagli arabi, meglio utilizzare Youtube.

La video notizia su Al Jazeera

[youtube=http://www.youtube.com/v/Hp0oAKHGxfw]

Il racconto di un manifestante

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=ZDy8M8hS3Cg&feature=share]