Strage di Oslo: colpa di Call of Duty (e Marilyn Manson)

Immagine liberamente tratta da www.fpsteam.it

Il Tg1 continua a mantenere saldo il suo stile tipico del giornalismo d’inchiesta: qualche decina di secondi di un servizio montato con scene di videogame e di musica metal per raccontarci, in sintesi, che se Breivik ha ucciso, lo ha fatto perchè appassionato di Call of Duty:  “un mondo virtuale in cui la musica e il sangue finto annullano la percezione del dolore e della morte”.

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Il servizio non l’ho visto in diretta, il Tg1 non riesco più a guardarlo, ma Pino Bruno ha fatto in modo che non passasse inosservato.

Questa tesi pare sia stata sposata anche dalla Binetti, che l’ha esposta durante il programma KlausCondicio di Klaus Davi (ne dà notizia il sito Ludomedia):

“Noi facciamo limitazioni nella vendita di alcolici e di sigarette ai minori. Sulle confezioni ci sono le indicazioni che chiariscono i danni alla salute (i videogiochi sono un danno per la salute? ndr.). E’ evidente che i limiti sono aggirabili, ma abbiamo almeno cercato di proteggere chi è più esposto. Di dare cioè un segnale, assumendoci la responsabilità. Aumentare il livello di prudenza è un obbligo morale. Questa è una della cose più importanti di cui si dovrà occupare il costituendo Garante dell’Infanzia, cioè la prevenzione; che non va intesa come censura, come limitazione delle libertà individuale, ma come una misura di prevenzione che garantisce la libertà di molte altre persone”

Questa tesi porta con sè diversi livelli di lettura:

Il primo riguarda il concetto di responsabilità: pensare che un videogioco o un genere musicale siano capaci di influenzare o di svolgere un ruolo pedagogico, significa voler volutamente e malignamente distogliere l’attenzione da dinamiche ben più imbarazzanti da spiegare. Breivik ha scritto un memoriale lunghissimo in cui spiega per filo e per segno la sua intenzione e la sua ispirazione, la sua appartenenza a ideologie di destra estrema, di cui comunque la Scandinavia è da sempre incubatrice. La strage di Oslo racconta sì di uno psicopatico che è riuscito a fare un po’ quello che voleva per un’oretta, ma è simbolo di una sottovalutazione generale di alcune radicalizzazioni. Il proselitismo di movimenti xenofobi e di estrema destra è più capillare di quanto si pensi ed è anche alimentato e in qualche modo legittimato da scelte politiche ufficiali (vedi in Italia le leggi sull’immigrazione) o da dichiarazioni di rappresentanti politici da TSO.

Il secondo livello di lettura riguarda invece la responsabilità sociale dei media: alla base delle farneticazioni razziste e naziste di Breivik, ci sono l’odio e la paura alimentati da un sistema mediatico che non racconta il diverso e indica nell’altro la responsabilità di qualsiasi cosa di brutto accada, come ad esempio la prima pagina de Il Giornale che indicava negli estremisti islamici i colpevoli della tragedia. Quanto accaduto in Norvegia è il risultato di anni di martellamento mediatico contro i migranti, contro i diversi, contro tutto ciò che in qualche maniera mette in discussione l’etnocentrismo occidentale. Il servizio di Virgina Lozito del Tg1, una giornalista di Ginosa che dice ispirarsi al reporter americano Walter Lippmann (qualche dubbio mi pare legittimo), è un fiume di stereotipi e di clichè, vomitati senza soluzione di continuità verso un pubblico il più delle volte diseducato e già preparato ad assorbire i concetti semplici del servizio. Un pubblico che è pronto a prendere per vero quanto dice il Tg1 perchè è il Tg1 e perchè il servizio racconta di uno scenario verosimile, concreto, in cui tutti possono ritrovarsi: il figlio o il nipote che giocano con i videogame piccoli terroristi in miniatura pronti a far fuori chiunque. Un servizio pericoloso, criminale, perchè diffonde notizie non verificate perchè non verificabili, una pappa pronta da servire a persone diseducate ai media, ma assuefatti alla estrema semplificazione che essi fanno del mondo che ci circonda. C’è una strage? Sono stati i musulmani. Il terrorista è biondo e con gli occhi azzurri? Allora è colpa di Call of Duty (e un po’ di Marilyn Manson).

Infine l’autrice del servizio dimostra di non sapere nemmeno di cosa sta parlando: Call of Duty è un videogioco in cui i nazisti vengono cacciati, non addestrati.