I segreti della casta di Montecitorio

Facebook stamattina ha portato una grossa novità: un precario incazzato, licenziato dopo 15 anni di lavoro a Montecitorio ha deciso di vuotare il sacco sui privilegi e le furberie dei nostri rappresentanti politici: ha aperto un blog (I segreti della casta di Montecitorio) e una pagina sul social network, il cui numero di fan cresce di centinaia nel giro di pochi secondi (adesso sono 39.567, vedremo quanti saranno alla fine del pezzo).

L’operazione è interessantissima, lo svelamento dei vizi e delle virtù dei deputati, i privilegi svelati ad un popolo incazzato educato da anni di crisi e da due decenni di voglia di giustizia.

Un’iniziativa che arriva dopo che è stata approvata la manovra finanziaria che prevede tagli per le classi meno privilegiate e il mantenimento dei bonus per i politici.

Non si può ancora dire se è reale o uno scherzo, però, nel dubbio, ho scritto questo post affichè rimanga traccia del tentativo coraggioso di rompere gli schemi e raccontare cosa accade nel Palazzo.

(Adesso i fan sono 43.153!)

Maroni e Ezio Mauro ci spiegano chi sono i black bloc

Mentre scrivo c’è in diretta la conferenza stampa del Movimento No Tav: della giornata di ieri è stato omesso il 95%, mentre (ovviamente aggungo io) è stato raccontato dai Tg solo il 5% della manifestazione. Il portavoce del movimento riporta le dinamiche che accadono lassù in montagna e che a noi, con i piedi a mollo tra l’Adriatico e lo Jonio potrebbero sfuggirci. Abbiamo visto nei tg di ieri lanci di sassi e lacrimogeni, polizia e manganelli, passamontagna e sciarpe. Per chi se lo ricorda, abbiamo visto una diapositiva di quello che dieci anni fa succedeva sempre nel nordovest d’Italia, dalle parti di piazza Alimonda. Eppure noi non ci siamo stati ieri, lassù in montagna, eppure abbiamo visto immagini che sappiamo non corrispondere a verità. Sappiamo che la Tav rappresenta il crocevia di interessi strategici, un pozzo di San Patrizio di denaro pubblico da riversare nelle tasche di pochi, sacrificando boschi e territorio. Lassù in montagna si sono scontrati due mondi, due visioni, due società, un po’ come raccontava il cartone animato Galaxy Express 999, due specie di esseri umani: chi ha può permettersi di avere un corpo meccanico e chi invece no.

Ma non voglio essere retorico e parlare di qualcosa a cui non ho partecipato fisicamente. Ci limitiamo a quello che tenta di fare di solito Officina, cioè l’analisi del racconto dei fatti.

Ieri le prime pagine dei tg nazionali riportavano la notizia degli scontri in Valsusa, delle decine di poliziotti feriti e di qualche manifestante contuso. Subito a commento della scarsa notizia (qui c’è il commento di Maroni, e qui l’identikit dei black bloc da parte del Tg1) le opinioni dei politici, tutti concordi alla condanna della violenza, da destra a sinistra.

In questo racconto però, non emergono i fatti. Anzi, così come viene narrata, la notizia è che un gruppo di manifestanti con competenze militari hanno preso di mira i cantieri della Tav. Non emerge per nulla il fatto che ieri c’è stata una manifestazione nazionale a cui hanno partecipato decine di migliaia di persone. Non emerge che in Val di Susa si stanno fronteggiando due modi diversi di intendere il futuro dell’uomo e della società. Non emergono i motivi del no, non emergono gli interessi del sì.

Se non fossimo dotati di strumenti di condivisione e di informazione p2p la conoscenza del fenomeno sarebbe ridotta all’opinione di Bersani o di Maroni, alle urla di Grillo, alle veline di Minzolini. Ma fortunatamente apriamo Facebook e scopriamo video e testimonianze, percorriamo tramite i link la rete e scopriamo articoli e racconti diversi. Non conformi, non allineati. La rete viene in soccorso al cittadino vittima di un pauroso deficit di informazione, che si manifesta in titoli su quattro colonne che condannano le proteste, che prendono spunti dai sassi lanciati per liquidare la volontà dei cittadini a vagiti di ignoranti.

Qui su Officina ci limitiamo a raccontare il racconto, che in questo caso pende solo da una parte: media nazionali che occupano gli spazi che disegnano realtà fittizie, mentre la conversazione, la nuvola delle informazioni invece pende dall’altra. Se non ci informiamo dagli arabi, meglio utilizzare Youtube.

La video notizia su Al Jazeera

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Il racconto di un manifestante

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La sinistra vince sul web grazie a Stracquadanio (e a Brunetta)

Accendere il pc la mattina e essere accolti da un intervento del senatore Pdl Stracquadanio che riconosce nel fancazzismo le ragioni della sconfitta elettorale della destra e subito dopo un video del ministro Brunetta che insulta un gruppo di precari definendoli “Italia peggiore”, è indice che oggi i social network fumeranno di commenti, interventi e post.

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Se Stracquadanio da un certo punto di vista ha ragione (molti di noi passano un sacco di tempo al pc perchè non hanno un lavoro o perchè lavorano 4 ore al giorno) dall’altro non comprende che proprio infelici uscite come la sua e quella di Brunetta alimentano la conversazione, dando a noi blogger e fancazzisti argomenti di cui discutere. Molto probabilmente è vero che le uscite pubbliche di personaggi del genere, capaci di attirare tutta l’attenzione dei web, è una geniale mossa per distogliere l’attenzione da fatti ben più importanti, come lo scontro tra Tremonti e Maroni o il fatto che in Puglia hanno ripubblicizzato l’AQP, il primo risultato politico rilevante dopo (e grazie) il referendum. Appena si sente forte il rumore dello scricchiolio della maggioranza, mandano avanti i buffoni (carissimi Stracquadanio e Brunetta, mi avete dato del fancazzista e mi avete detto che sono l’Italia peggiore, “buffone” mi sembra poco in confronto) e i cittadini immediatamente distolgono lo sguardo (e la pressione) dalle cose importanti. Non dimentichiamo infatti che Brunetta è comparso dal nulla all’inizio di questo governo e poi è sparito dopo aver sparato a zero sugli impiegati pubblici, dando il tempo alla maggioranza di assestarsi, e poi è ricomparso solo ora.

Il web e la conversazione online si nutre di gaffe e di figure del genere, si alimenta come un parassita attaccato al suo ospite. Se il livello della conversazione non fosse tenuto costantemente basso da personaggi del genere, il numero dei commentatori autorevoli (tra cui il sottoscritto) non avrebbe di che parlare. Un conto è, miei cari signori, commentare l’insulto di Brunetta, un conto è commentare la proposta dei tagli lineari di Tremonti.

 

Essere efficaci sul web non è un caso (un tentativo di analisi)

Dando ormai per scontato che le conversazioni online sono capaci se non di generare, quanto meno di alterare il contesto reale, consigliandoci di votare o di acquistare o di pensare qualcosa o qualcuno, essere in grado di gestirle è la chiave per assumere una posizione dominante. Ci sono diversi modo per influenzare dinamiche che ai più sembrano casuali:

  • Attraverso l’azione dei Serch Engine Optimizer (SEO) che influenzano i risultati delle ricerche di Google, facendo salire o scendere nelle pagine di ricerca un determinato sito (proprio ieri durante una riunione mi sono trovato nelle condizioni di spiegare che i primi posti del motore di ricerca non sono riservati necessariamente ai “migliori” siti, ma spesso a quelli meglio “indicizzati”)
  • Attraverso l’intervento di esperti di social media che non sono i diciottenni che smanettano e hanno 2000 amici, ma sono quelli che riescono a dire o a fare l’azione giusta al momento giusto con lo strumento giusto.

Siamo ancora in una fase sperimentale, nel giro di pochi mesi vengono  pubblicati saggi che confutano altri saggi che confutano altri saggi. Usare Facebook e compagnia twittando per una campagna elettorale o per vendere un prodotto (la differenza potrebbe non essere percepita da tutti) o per organizzare un’azione politica per quanto possa sembrare un gioco da ragazzi, molto spesso non lo è. E’ una questione di economia in fondo: il massimo risultato con il minimo sforzo. Ecco perchè riuscire a costruire la rete dei contatti di un gruppo significa partire avvantaggiati rispetto agli altri che, nonostante spammino a tutto spiano, non riescono ad ottenere gli stessi risultati. Lo sanno bene coloro che stanno dietro le quinte delle campagne elettorali che alla politologia preferiscono la fisica applicata alle reti.

Ho fatto una prova di analisi della rete del gruppo Facebook degli ex-corsisti di Running (un gruppo piccolo, di poche centinaia di nodi): quello che ne viene fuori l’ho spiegato brevemente in questa presentazione

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Aggiungo alle poche righe del documento, una considerazione: se si osserva bene la rete e se si conoscono le dinamiche, diviene chiaro che non necessariamente bisogna puntare al nodo più grosso perchè un messaggio abbia massima diffusione. Basterebbe trovare un nodo che sia in contatto con i nodi maggiori attraverso relazioni biunivoche.
Chi potrebbe essere?

Distributore in Valle d’Itria. Le ragioni di un “perchè?”. (Ma la Sovrintendenza non ne sapeva nulla)

(grazie a bradipodellavalle.blogspot.com)

Sorprendente è la reazione al movimento di opinione sulla costruzione di un distributore di benzina in Valle d’Itria. Da un certo punto di vista è straordinario vedere la partecipazione, la fiducia, l’incontro, lo scambio di opinioni di centinaia di persone che non si conoscono nemmeno ma condividono un punto di vista, dall’altro invece è triste vedere gli strumenti messi in campo per far sì che la domanda posta dal gruppo “perchè?” passi in secondo piano, spostando l’asse del discorso sul “perchè voi non la volete?”. La mossa tattica è scontata perchè passare dalla pretesa di una risposta politica da parte dei rappresentanti consiglieri si passa all’elenco di autorizzazioni ottenute. La risposta quindi, non esaurisce più la domanda “cosa vi ha spinto a farlo” ma “mi fate vedere i documenti?”. Ecco, a questo punto del percorso penso sia doveroso mettere dei paletti: le autorizzazioni servono per i Carabinieri e per il TAR, per noi cittadini indignati servono risposte brevi e concise alla domanda che ci troviamo costretti a ripetere: “Perchè costruire un distributore in Valle d’Itria?”.

A questa domanda attendiamo una risposta, che non può essere “ci saranno i muretti a secco”.

Il movimento questuante si muove su istanze politiche e non esclusivamente ambientali. E per politiche intendo: “quale progetto di territorio sta alla base dell’autorizzazione alla costruzione di un distributore in piena Valle d’Itria?”. Questa è la domanda completa, a cui ovviamente non accetteremo mai come risposta: “Ci sono le autorizzazioni”.

Con tutto il rispetto delle autorità competenti, chi se ne frega delle autorizzazioni…

In provincia, si sa, ogni volta che si fa un passo si rischia di pestare i piedi a qualcuno, magari involontariamente, magari consapevolmente. La storia del distributore ha fatto emergere subito le fazioni dello scontro (che nessuno vuole, spero) i cui strateghi hanno già sentenziato: “Spostiamo l’attenzione dalla domanda posta al fatto che le autorizzazioni ci sono tutte e non è che ogni volta che si fa qualcosa devono rompere i coglioni questi ambientalisti che non hanno nulla da fare. Noi siamo gente che lavora…”.

Pensare che questa sia una strategia studiata a tavolino, presuppone la capacità di studiare una strategia. Cosa difficile, almeno secondo l’esperienza fatta a Martina Franca, sono pochi coloro capaci di arrivare a tanto. Secondo chi scrive la cosa più probabile è che invece siano stati davvero colti in fallo, involontariamente, e l’atteggiamento è stato quello della difensiva.

Colti in fallo su cosa? La reazione della parte opposta spinge chi scrive a pensare che ci sia davvero qualcosa che non è emersa da subito. La domanda posta al commissario (ad acta, non di polizia, tranquilli…) assume ancora più importanza. Riflettendo ad alta voce, la prima obiezione è: come mai lì e non in via Mottola o in via Massafra? Perchè scegliere un luogo decentrato rispetto al grosso del traffico? Forse è una posizione strategica. Ma per cosa?

Il nuovo tracciato della SS 172?

Ecco. Forse è questa la base della decisione di strappare un pezzo di Valle d’Itria e destinarla a contenitore di petrolio. Da lì passerà la nuova 172 e quel posto diventa strategico. Oltretutto, vedendo i lavori in corso dalle parti del ponte della ferrovia sulla strada vecchia per Alberobello, diventa chiaro che da lì sarà spostato il traffico pesante diretto nella Zona Industriale. Il ponte che stanno costruendo permetterà che da sotto passino i camion.

(Questo spiegherebbe come mai dal Piano Carburanti voluto dal Comune sia stata stralciata solo la parte che va da via Locorotondo a via Ostuni fino al limite di provincia e non fino a via Alberobello).

Sarà questo il possibile disegno? Una nuova strada ad alta capacità che taglia la Valle d’Itria?

Senza giudicare, davvero, questo progetto, non possiamo non porci una domanda: un cambiamento così radicale del territorio, non meriterebbe un consulto con i cittadini? I milioni di euro che si spenderanno forse ci dicono che non è il caso di far passare tutto dal giudizio popolare. Chi sparte ha la parte migliore, dicono da noi.

Tanto ci sono le autorizzazioni.

Ah, dimenticavo, la Sovrintendenza per i Beni e le Attività Culturali non ne sapeva niente. Tanto da sentirsi in dovere di scrivere ai Carabinieri (clicca qui e qui per leggere la lettera)

Guerrilla Radio (turn that shit up)

Il silenzio non rende onore al lavoro e alla vita di Vittorio Arrigoni. Il silenzio l’ha ucciso, complice terribile di dinamiche criminali. Chi sta zitto è vigliacco, o forse, semplicemente, non ha capito. Perchè Vittorio Arrigoni è stato ucciso e forse non è un caso. Perchè adesso chi ci racconterà puntualmente la lotta dei palestinesi contro l’occupazione israeliana, chi conterà le vittime e le chiamerà per nome, ad una ad una, esseri umani strappati alla terra e contati come numeri dell’infinito abaco della morte?

Chi?

Il silenzio ha ucciso Vittorio Arrigoni. Ma anche la nostra incapacità di raccogliere il grido di dolore che da quella terra si alzava ogni giorno, muezzin di sangue che non abbiamo voluto fare nostro.

Vittorio Arrigoni è morto, raccontato come un pacifista mentre lui era la nostra coscienza. Nessuna inchiesta gli renderà giustizia (a proposito, l’Italia non chiederà conto della sua morte?), chi ci ricorderà del dovere morale di pretendere pace e giustizia per la Palestina, soprattutto per la Palestina, per tutte le Palestine del mondo?

Non è arrivato forse il momento di alzare il volume, di chiedere conto del dolore, di pretendere giustizia, di lottare?

Quanto ancora riusciremo ad accettare? Quante lacrime abbiamo ancora da versare?

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Gli immigrati non puzzano uguale

Dopo l’intervista ad Atsuko, mi ha contattato un amico per chiedermi se poteva essere in qualche modo utile nei confronti delle vittime della catastrofe giapponese. Vedere la condizione in cui sono ridotte le città e il rischio di un’esplosione nucleare ha sicuramente toccato le corde solidali di molti di noi. Non avendo disponibilità economiche, questo amico ha messo a disposizione un’abitazione per una famiglia numerosa. Gli ho risposto di non sapere come o cosa fare, o a chi far arrivare la richiesta, ma che mi era molto più semplice metterlo in contatto con qualcuno che lavora con i profughi o i richiedenti asilo africani. Immediatamente questo amico ha ritirato l’offerta, giustificandosi col fatto che le radiazioni nucleari sono ben altra cosa rispetto ai problemi africani.

Vero. Una centrale nucleare è evidentemente più pericolosa di un dittatore impazzito. La prima uccide indiscriminatamente, il secondo sceglie con cura i suoi bersargli.

L’episodio però offre uno spunto di riflessione serio: gli stranieri non sono percepiti tutti alla stessa maniera. Se quest’affermazione può sembrare ovvia, non farebbe male rifletterci su…

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Qui Giappone, tra il rischio nucleare e la normalità quotidiana

Atsuko è una ragazza di Osaka, in Giappone, una città nella zona centro-meridionale del paese, abbastanza lontano dalla zona colpita. Parla bene l’italiano, e abbiamo avuto la fortuna di intervistarla tramite un giro di mail. Le sue risposte risalgono a ieri 16 marzo e tracciano un quadro della situazione più completo rispetto a come siamo stati abituati a vedere in questi giorni. Prima di tutto si sorprende di come trattano la questione i media italiani, che secondo lei esagerano, rispetto ai media locali che comunque, tendono a contenere la situazione. Poi spiega che la sua quotidianità non è stata assolutamente stravolta e risponde anche a qualche domanda sul nucleare, sperando che quello che sta accadendo a Fukushima non influenzi la nostra decisione referendaria.

Di seguito l’intervista completa.

Ci sono aggiornamenti nei commenti

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Il furgone bianco e Yara Gambirasio

Seguendo il rigorosissimo metodo di indagine scientifica e giornalistica della redazione di Quarto Grado, che ha collegato un furgone bianco che passava lungo la strada che collega la palestra alla casa di Yara, ripreso di sguincio da un videocamera messa a sorvegliare un bancomat, sono riuscito ad identificare il vero possibile assassino di J. F. Kennedy.

La prova dell'omicidio di Kennedy

Come potete vedere nella foto, poco prima di essere ucciso a colpi fucile in testa, il Presidente degli USA passa con la sua auto davanti ad un uomo con la camicia azzurra. Un uomo che non guarda nella direzione dell’auto presidenziale, ma dalla parte opposta, come se stesse dando un segnale ad un suo complice, probabilmente un uomo sui quarant’anni, bianco, con i capelli castani. L’uomo con la camicia azzurra compare anche in un’altra foto, che non possiamo mostrarvi perchè non l’abbiamo trovata, ma se c’entra con l’omicidio, perchè l’avrebbe fatto? Non sappiamo, ma siamo contenti di aver fornito agli inquirenti questa nuova pista.

Nel frattempo godetevi il video che inchioda il furgone bianco all’omicidio di Yara Gambirasio.

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Giovanardi non ti fare, fatti la vita


Un gruppo di studenti parte per una gita in montagna, uno di loro si attarda, prende una bustina con presumibilmente delle pasticche di stupefacenti da un tipo che lo saluta alla maniera del vecchio west. Una ragazza, probabilmente la sua ragazza, lo guarda innervosita dal finestrino. Lui sale, ma lei non dice niente. Passano le montagne, invitanti di neve pura, bianca. Lui si addormenta e sogna. Sogna di una donna stupenda, ammiccante, bianca tra il bianco della neve gli si fa incontro. Ammiccante. Gnocca. Non è la sua ragazza. Si avvicina, ammiccante, gnocca, lo guarda e si accinge a baciarlo sul collo quando improvvisamente si trasforma in un mostro vampiro e tenta di mordergli il collo.

Ma è un sogno, tranquilli.

Perchè lui si sveglia, sono arrivati in montagna, è l’ultimo a scendere dall’autobus, si avvicina ad un fuoco acceso e butta le pasticche.

Parte la musica di Nek, compare una scritta giovanile:

Non ti fare, fatti la vita.

La prima volta che l’ho visto ho pensato ad un fake, ad un falso. La storia è quasi inconsistente, il messaggio è grossolano. La droga che sembra una bella donna ma in realtà è un vampiro. Poi contiene evidente elementi di sessismo: perchè una bella donna? E se fosse davvero stata una bella donna e non un vampiro, sarebbe stato un bene? E perchè non interviene la ragazza del “quasi-drogato”? E, per ultimo, non è che in realtà lo spot lancia il messaggio meglio la “neve” che le “paste”?

Dubbi.

Dubbi che riconducono alla percezione legata alla sostanza stupefacente, riconducendola nella categoria del Male Assoluto, dell’Orrore, della Paura. La droga deve fare paura, non dobbiamo avvicinarci, non dobbiamo conoscerla. Non dobbiamo sapere. La droga è tabù, il drogato è un paria che non dobbiamo avvicinare. Mi ricordo quando da piccolino prendevo con le forbici le figurire che brillavano perchè girava la voce che contenessero droga.

Quindi due considerazioni: la prima sul contenuto e l’altra sulla forma.

Contenuto: approccio terroristico, una campagna di comunicazione deve contribuire alla conoscenza del fenomeno, non alla messa al bando. Sarebbe come nascondere la polvere sotto al tappeto. Se a questo si aggiunge che Tremonti ha di fatto azzerato lo stato sociale, tagliando l’80% dei fondi destinati al welfare, diventa chiaro che l’obiettivo è la rimozione, l’esclusione, l’abbandono.  Del sessismo e dei doppi sensi ne abbiamo parlato prima.

Forma: il video è fatto dalla Spark Digital, una nota e brava casa di produzione (tipo “Fascisti su Marte”) scimmiottando un po’ troppo i virali che girano sui social network e su Youtube, come di quella ragazza in chat che si trasforma in orribile mostro. Nelle intenzioni del Dipartimento per le politiche antidroga c’è proprio quella di farlo girare tra le giovani generazioni affinchè possano essere sensibilizzate sull’argomento. Secondo Giovanardi & Co. l’intenzione era proprio usare le “stesse armi dei giovani”.

In sintesi, il video è ridicolo, sembra davvero un falso, ma potrebbe girare (come già sta avvenendo) proprio perchè sembra un falso. Non ti fare, fatti la vita! E adesso canta tu, Nek!

Poi, ad un certo punto, scopri che è tutta un’idea di Giovanardi, e capisci tutto.

A voi il video.

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