Roma 15 ottobre: il ritorno dei nichilisti di Lebowsky

Visto che tutti dicono qualcosa di estremamente intelligente riguardo la manifestazione di sabato scorso, dico anch’io la mia. Non tanto perchè posso davvero contribuire alla discussione con pensieri davvero intelligenti o perspicaci, ma solo perchè della Big Conversation fa parte pure Officina.

Innanzitutto a tre giorni dalla manifestazione tutti si affannano a ripetere che non cadranno nella trappola di parlare degli scontri, ma solo dei contenuti della manifestazione. Un’affermazione così tanto ripetuta che alla fine tutti parlano di cosa non devono parlare e nessuno parla di quello che si propone di fare. Un casino, eh?

Repubblica (of course) ha intervistato un nero (incappucciato) che ha confessato come si muovono e dove si sono addestrati. Un precario di trentanni che racconta per filo e per segno le strategie e le tattiche di guerriglia urbana: un bignamino del manuale Marighella. Un articolo che contribuisce a rappresentare quanto successo come se fosse un attacco pianificato e premeditato, quindi accendendo dentro di noi, la lucina della possibilità che non sia finita sabato, che ci siano organizzazioni che vogliono la violenza e che la praticano con estrema lucidità. A parte il fatto che gli autori del pezzo (Bonini e Foschini) sono riconosciuti come giornalisti che riescono ad accedere a notizie, per così dire, “riservate” (non ho detto servizi, mica ho detto servizi, qualcuno ha capito servizi?), la diffusione di articoli del genere non fanno che generare confusione, tensione e quel sentimento vicino al “te l’avevo detto io che c’è qualcosa che non va”. La sensazione che ci sia un complotto (polizia disordinata, colonne armate addestrate, volontà di disturbare il corteo pacifico) ha come unico risultato l’ulteriore disaffezione alla pratica della partecipazione. Quindi sarebbe più responsabile parlare di quanti sono stati a Roma (a proposito, qualcuno sa in quanti erano i manifestanti?) e perchè si sono ritrovati in tanti. Il movimento ha una sua visione politica che viene costantemente messa in ombra dalla nostra inclinazione verso tutto ciò che è pruriginoso e poco accattivante: meglio vedere una camionetta bruciare che stare mezz’ora ad ascoltare un comizio di precari.

Quindi c’è il racconto dei cosiddetti black bloc, un racconto falsato, già dalle premesse, perchè non esistono “i” black bloc, semplicemente perchè con quei termini si descrive un modo di stare nella manifestazione. Sarebbe un po’ come chiamare un calciatore “fuorigioco”. Questo attiene alla naturale propensione verso la semplificazione: ammassare più concetti nello stesso significato ci mette al riparo dal dubbio e da quanto non conosciamo.

Proprio quello che non conosciamo, ci fa paura. Un migliaio di ragazzi incappucciati e addestrati marciano su Roma per metterla a ferro e fuoco. Chi sono? Cosa vogliono? Perchè lo fanno? Chi c’è stato racconta che era evidente che non erano lì per manifestare un disagio o una preoccupazione, ma solo per distruggere. “Sono proprio brutti, sono tipi strani”. Il primo pensiero va agli infiltrati, ma poi, fatti due conti non avrebbe senso. La polizia è la prima ad essere incazzata con il governo che abbiamo. Eppure ci sono frange di giovani che vivono ai bordi della società, senza futuro e con un sistema di valori di riferimento che rasenta il nichilismo. “Sembrano ultras” dice qualcuno. Alcuni lo sono per certo. La conferma forse potrebbe essere la scritta ACAB sul furgone incendiato. Rimane in tutto questo un senso di vago disagio, una spalla scoperta alla propaganda fangosa delle destre. Una spalla che ci siamo scoperti da soli perchè abbiamo abbandonato il lavoro sociale, forse, stare per strada e nei quartieri, affrontare con gli ultimi la vita quotidiana, costringendoci a raccontarli come fossero i nichilisti del film “Il grande Lebowsky”.

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Eppure, siamo costretti a farlo.

Maroni e Ezio Mauro ci spiegano chi sono i black bloc

Mentre scrivo c’è in diretta la conferenza stampa del Movimento No Tav: della giornata di ieri è stato omesso il 95%, mentre (ovviamente aggungo io) è stato raccontato dai Tg solo il 5% della manifestazione. Il portavoce del movimento riporta le dinamiche che accadono lassù in montagna e che a noi, con i piedi a mollo tra l’Adriatico e lo Jonio potrebbero sfuggirci. Abbiamo visto nei tg di ieri lanci di sassi e lacrimogeni, polizia e manganelli, passamontagna e sciarpe. Per chi se lo ricorda, abbiamo visto una diapositiva di quello che dieci anni fa succedeva sempre nel nordovest d’Italia, dalle parti di piazza Alimonda. Eppure noi non ci siamo stati ieri, lassù in montagna, eppure abbiamo visto immagini che sappiamo non corrispondere a verità. Sappiamo che la Tav rappresenta il crocevia di interessi strategici, un pozzo di San Patrizio di denaro pubblico da riversare nelle tasche di pochi, sacrificando boschi e territorio. Lassù in montagna si sono scontrati due mondi, due visioni, due società, un po’ come raccontava il cartone animato Galaxy Express 999, due specie di esseri umani: chi ha può permettersi di avere un corpo meccanico e chi invece no.

Ma non voglio essere retorico e parlare di qualcosa a cui non ho partecipato fisicamente. Ci limitiamo a quello che tenta di fare di solito Officina, cioè l’analisi del racconto dei fatti.

Ieri le prime pagine dei tg nazionali riportavano la notizia degli scontri in Valsusa, delle decine di poliziotti feriti e di qualche manifestante contuso. Subito a commento della scarsa notizia (qui c’è il commento di Maroni, e qui l’identikit dei black bloc da parte del Tg1) le opinioni dei politici, tutti concordi alla condanna della violenza, da destra a sinistra.

In questo racconto però, non emergono i fatti. Anzi, così come viene narrata, la notizia è che un gruppo di manifestanti con competenze militari hanno preso di mira i cantieri della Tav. Non emerge per nulla il fatto che ieri c’è stata una manifestazione nazionale a cui hanno partecipato decine di migliaia di persone. Non emerge che in Val di Susa si stanno fronteggiando due modi diversi di intendere il futuro dell’uomo e della società. Non emergono i motivi del no, non emergono gli interessi del sì.

Se non fossimo dotati di strumenti di condivisione e di informazione p2p la conoscenza del fenomeno sarebbe ridotta all’opinione di Bersani o di Maroni, alle urla di Grillo, alle veline di Minzolini. Ma fortunatamente apriamo Facebook e scopriamo video e testimonianze, percorriamo tramite i link la rete e scopriamo articoli e racconti diversi. Non conformi, non allineati. La rete viene in soccorso al cittadino vittima di un pauroso deficit di informazione, che si manifesta in titoli su quattro colonne che condannano le proteste, che prendono spunti dai sassi lanciati per liquidare la volontà dei cittadini a vagiti di ignoranti.

Qui su Officina ci limitiamo a raccontare il racconto, che in questo caso pende solo da una parte: media nazionali che occupano gli spazi che disegnano realtà fittizie, mentre la conversazione, la nuvola delle informazioni invece pende dall’altra. Se non ci informiamo dagli arabi, meglio utilizzare Youtube.

La video notizia su Al Jazeera

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Il racconto di un manifestante

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