Nonostante si dica che è il mestiere più antico del mondo, le discussioni sulla prostituzione sono sempre all’ordine del giorno. Soprattutto quando quest’argomento viene alimentato dalle polemiche prodotte dall’incapacità politica di affrontare il problema. Nel frattempo che ministri preti e soubrette si affrontano nell’arena televisiva, migliaia di ragazze sono per strada o chiuse in appartamenti oppure in viaggio verso l’Italia con la falsa speranza di intrecciare capelli o fare le badanti. Se da una parte si deve arginare il fenomeno intervenendo in maniera repressiva, dall’altro è necessario incrementare l’azione di protezione sociale che può permettere a queste persone, spesso vittime inconsapevoli di traffici assai lucrosi, una via d’uscita, condividendo le buone pratiche che il privato sociale ha sperimentato negli anni. Di questo si è parlato a “O-Scena: Le trame indicibili e invisibili della violenza sulle donne” in un convegno tenutosi giovedì 16 a Trani, organizzato dalla cooperativa sociale “Comunità Oasi2 San Francesco”. La giornata, che rientrava nelle attività previste dal progetto Interreg Italia-Albania chiamato “Shtepi” (casa), che prevedeva la collaborazione delle realtà pugliesi e albanesi che lavorano con chi è vittima di tratta e sfruttamento sessuale, ha visto il succedersi di molti interlocutori, che hanno condiviso con la platea le proprie esperienze riguardo l’argomento. Era impossibile, dato il tema, non commentare la famigerata legge Carfagna. Lo hanno fatto in maniera originale, da un punto di vista scientifico, dato che si tratta di addetti ai lavori, il sostituto procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, Giuseppe Scelsi e la professoressa Patrizia Resta, antropologa dell’Università di Foggia. Nelle parole del sostituto procuratore, la legge Carfagna viene descritta pressappoco come un “tradimento”, da due prospettive diverse. La prima riguarda tutta la giurisprudenza internazionale, ossia la direzione che i legislatori hanno dato per la risoluzione del problema. Se sia nella storia del diritto locale ed europeo, si è cercato di concertare l’azione repressiva con quella inclusiva e di protezione, il disegno di legge della Ministra rende vani tutti gli sforzi fatti finora. Cacciando le prostitute dalla strada si nasconde il reato, il suo corpo, e questo rende più difficile l’intervento delle forze dell’ordine e degli operatori sociali. Il secondo “tradimento” è più intimo, e riguarda il contesto sociale ed emozionale da cui questa legge scaturisce: la paura. A tradire in questo caso è quello che non viene espresso ma che rimane implicito: la paura di questo fenomeno. E per paura si nasconde, si allontana dalla vista, dalla percezione. Il problema non solo non viene risolto ma viene allontanato dai sensi, applicando la terribile legge della propaganda: quello che non c’è non si vede.
Alle parole di Scelsi fanno eco quelle della professoressa Resta che del fenomeno invece si occupa da un punto di vista scientifico. Al centro del suo discorso c’è il ruolo della cultura, intesa come produzione e diffusione delle conoscenze, e dell’importanza di essa nei cambiamenti sociali. Porta l’esempio della prostituzione albanese degli anni novanta, quando sulle strade pugliesi c’erano decine di ragazze provenienti dall’altra parte del Canale d’Otranto. Il meccanismo di reclutamento delle giovani donne era semplice: venivano fatte sposare con alcuni uomini con la promessa di un futuro migliore in Italia ma, sbarcate in Puglia venivano mandate per strada. Un tipo di organizzazione necessario perché le rigide leggi del Kanun, della tradizione orale albanese, impediva alle ragazze di lasciare la propria casa se non sposate. Solo attraverso l’attento studio del fenomeno e la sua divulgazione attraverso i mezzi di comunicazione anche albanesi ha permesso di arginarlo, intervenendo direttamente a monte del problema: le famiglie. Venendo a conoscenza del meccanismo perverso, i padri hanno impedito che questo si ripetesse oltre. Questa stessa pratica potrebbe essere usata per la versione moderna del meretricio, che vede per strada invece ragazze prevalentemente africane, nigeriane, andare alla radice e capire per intervenire direttamente a Benin City. Ma questo diventa difficile se, invocando un senso del pudore fittizio, funzionale alla propaganda politica, il fenomeno viene occultato, come la polvere sotto il tappeto. Oscene non sarebbero più le violenze ma le donne stesse.
Un movimento di opinione di operatori sociali e di addetti ai lavori si sta muovendo per impedire che la legge Carfagna renda nullo il lavoro di anni, fatto all’insegna della protezione e dell’inclusione delle ragazze vendute e comprate, vittime di un traffico malvagio. Antonella De Benedictis, responsabile dell’Area Immigrazione dell’Oasi2 non lesina parole dure nei confronti dei possibili scenari futuri che, sulla base del detto “occhio non vede, cuore non duole”, impediranno fattivamente alle organizzazioni sociali di intercettare le vittime del traffico di esseri umani, lasciandole per sempre in balia dei loro sfruttatori.