Se la politica manca, evviva la politica.

Giornata di rese dei conti, ieri 21 febbraio, Anno del Signore 2014. A Roma un giovane rampante che se fossimo negli anni ’80 chiameremmo yuppie, ma siamo ormai oltre il fine impero e non ci fa ridere, è diventato premier come uno di quei ragazzini viziati guadagnano il motorino, mentre quiggiù nei territori, come si dice, persone e organizzazioni si incontrano e discutono di come ripartire, di come non soccombere, di come sopravvivere.

Ognuno però lo fa a modo loro.

Ieri mattina a Bari c’è stata la presentazione della Scuola di Fund Raising del Sud, ed è stata l’occasione per parlare del presente e del futuro del welfare. Quello che emerso, secondo me, a lato della discussione, come sottotesto comune a tutti gli interventi, è che da una parte esiste il territorio, dall’altra le dinamiche nazionali o internazionali.

Per territori intendiamo qui il sistema di attori che hanno come minimo comune denominatore l’appartenere ad un’unica città, o provincia, o regione, o quartiere, magari. Il sistema del terzo settore italiano, quello più all’avanguardia, preso atto che il Pubblico non potrà farsi più carico di finanziare progetti, si rimbocca le maniche e tenta di ripartire, coinvolgendo coloro camminano sulle stesse strade, o vivono negli stessi palazzi. Aziende, cittadini, stakeholder.

Al netto del merito della riflessione ho avuto l’impressione che comunque sia è un pezzo di Paese che si incontra e si organizza e prova a continuare la strada nonostante tutto e nonostante a Roma il premier dal giubbotto di pelle perdesse tempo in streaming.

A meno di cento chilometri di distanza, a Massafra, pezzi della Cgil di Taranto erano riuniti in congresso per tracciare il nuovo percorso del sindacato. Anche in queste assemblee, con la dovuta differenza, con i dovuti distinguo di ruolo e merito, un pezzo di Paese si stava interrogando su come resistere.

 

La crisi miete vittime individuali e collettive e il sistema del welfare e la rappresentanza sindacale sono tra le prime. Eppure il loro ruolo, per quanto sia ormai tempo di ripensarlo non può essere esaurito. Non fosse altro perchè il bisogno a cui offrono risposta non è diminuito, anzi.

In entrambe le occasioni, però, era evidente come fossero pezzi di un sistema che tenta di rialzarsi, di resistere, mentre chi avrebbe il dovere di coordinare, di prendere spunti da situazioni simili, era assente, non fisicamente, ma in quanto ruolo e funzione. Se la politica deve tramutare in fatto la visione, questa non può che trarre linfa da riflessioni dei diversi settori, che mentre la prima gioca a rimpiattino, vanno avanti ormai da anni. Ognuno per sè, simili con simili, enormi pezzi di puzzle che tentano di non essere spazzati via, senza che nessuno tenti più una ricomposizione.

Ma mentre la politica è assente, non se ne sentiva la mancanza. A parte Guglielmo Minervini, la cui personalità non può paragonarsi per il momento a nessun altro suo pari, presente a Bari, che comunque sembra riconoscere questo cambiamento di “paradigma”. Diciamo meglio: di una certa politica non se ne sentiva la mancanza, un po’ come l’ospite non voluto ad una festa che non sai nemmeno dove far sedere. E se, infatti, da un lato sembra che la comunicazione politica mainstream ora sia tutta concentrata sul chi e sul come e non sul perchè, i pezzi di Italia che provano a riflettere, a tentare, a innovare, siano ben contenti di non dover fare i conti con essa.

Gli elementi, quindi, sono tre, per ora:

  • Pezzi di Paese resistono o pensano a come resistere
  • La politica romana sembra assente
  • Nessuno sente la mancanza della politica romana

Esiste, però, un quarto elemento: il territorio. In entrambi gli appuntamenti di ieri, “territorio” è stata una parola ricorrente. E non in senso retorico, ma come estrema ratio di chi resiste, “Alamo” direbbero gli americani, quello che rimane. O meglio, quello che di buono ancora è rimasto e sui cui bisogna lavorare. Denominatore comune e scenografia di qualsiasi strada si scelga di percorrere, il territorio, e quindi la comunità che vi insiste ritorna prepotentemente protagonista.

Reazione evidente alla globalizzazione, i territori sono quegli spazi, anche sociali e di comunicazione, in cui i cittadini verificano l’efficacia delle proprie azioni. Impossibilitati a ottenere risultati immediati a livelli più ampi, e verificato anche l’inutilità, ci si gira tutti e si inizia a guardare nel cerchio invece che al di fuori di esso.

Chissà quanto questo sia dipeso anche dalla possibilità di comunicare in tempo reale oltre ogni tipo, quasi, di confine.

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