Cos’è l’Area Vasta
Il 2013 verrà chiuso il rubinetto che irrorava di milioni di euro la Puglia e altre zone dell’Italia meridionale, perché, secondo i piani di Bruxelles, i nostri territori non saranno più quelli più bisognosi di aiuto, lasciando il posto dei piccoli ai neocomunitari.
In vista si questa scadenza, la giunta pugliese ha ritenuto opportuno sfruttare al massimo l’ultima occasione realizzando interventi che possano durare il più a lungo, che non si fermino al solo quinquennio ma che gettino le basi per un giusto sviluppo della regione. Per centrare completamente l’obiettivo si è deciso di far partire le scelte dal basso, cioè dai comuni che, insieme alle parti sociali, alle associazioni di categoria, a quelle culturale, alle cooperative, ai singoli cittadini, si fossero messi intorno ad un tavolo con carta e matita per disegnare il territorio che volevano. Una sorta di lettera a Babbo Natale.
L’importante è partecipare
Martina Franca ha deciso all’ultimo momento di partecipare all’area vasta denominata “Valle d’Itria”, di cui fanno parte altri sette comuni: Monopoli, Noci, Alberobello, Castellana Grotte, Putignano, Locorotondo, Cisternino, accantonando l’idea di partecipare all’area tarantina. Avendo deciso in extremis la partecipazione alla programmazione, Martina ha perso il ruolo di capofila, ruolo che le sarebbe spettato per continuità storica, dato che lo era per il PIT5, di cui l’Area Vasta è la continuazione, per motivi politici, essendo il comune più popoloso tra tutti e affacciandosi direttamente nella valle che dà il nome all’area. Invece il capofila è Monopoli, e infatti alla prima occhiata, le linee di intervento insistono specificatamente sulla zona del mare, che come ben sappiamo, con la Valle d’Itria ha poco a che spartire. Nonostante tutto però, come ogni cittadino martinese sa, è già molto che l’amministrazione si sia accorta di un’occasione simile.
Poca partecipazione: “la mezz’ora di Martina”
Il giorno della presentazione del progetto a Martina, lunedì scorso, era tutto un rincorrersi di autocelebrazioni e di autocomplimenti, sulla bravura di chi ha fatto e sulla democraticità partecipativa delle scelte. L’architetto Sgobba, progettista capo, era proprio contento del lavoro, preoccupato solo che la Regione non si comportasse male, non approvando i vari progetti. Detto in altri termini, sperava caldamente che tutto il lavoro per cui ha avuto un compenso di circa mezzo milione di euro, non si risolvesse in una bolla di sapone nel momento in cui persone più accorte e meno coinvolte avessero messo gli occhi sopra. Andiamo però con ordine.
Un criterio fondamentale per l’approvazione dei progetti da parte della Regione è la partecipazione, ossia il livello di democraticità con cui sono state prese le decisioni. Dato che si tratta di interventi a lunghissimo termine non si può permettere che la scelta sia fatta solo dall’amministratore (che ora è di un colore e domani sarà di un altro), ma deve essere coinvolta tutta la cittadinanza. Cosa che non è per niente avvenuta da parte della cabina di regia di questo piano strategico, nonostante il project manager Porcelli affermi il contrario. Un esempio su tutti: la pubblicizzazione della presentazione del progetto è stata fatta tramite una fotocopia di un foglio A4 affisso sul portone del Palazzo Ducale. Roba da Martin Lutero. Durante tutta la programmazione le realtà che avevano inviato la propria adesione venivano sì puntualmente invitate alle riunioni, ma queste erano discussioni di un paio d’ore riguardo temi generali. Di questi incontri se ne sono fatti dodici, almeno uno in ogni comune dell’area. Solo dodici incontri (pubblici) per decidere quale sarà il nostro futuro. A Taranto per fare un paragone, tutta l’estate si sono tenuti forum tematici in cui le associazioni, le imprese, i singoli cittadini hanno espresso attivamente la propria opinione. Inoltre la trasparenza è da ricercarsi anche nel modo in cui vengono affidati gli incarichi. A quanto pare non esiste traccia di nessun bando pubblico per l’assegnazione di nessun ruolo. Tutti nominati per conoscenza?
Partecipazione zero, a conti fatti, confutando ampiamente Porcelli che interpretava le polemiche a riguardo come l’ennesima “mezz’ora di Martina”.
I paradossi del progetto
Se si entra nel merito della questione del Piano strategico poi, non possiamo non accorgerci di un elenco molto lungo di paradossi e incongruenze. L’architetto Sgobba, durante la presentazione di lunedì, ha detto di essere rimasto colpito di quanto il turismo estivo si concentri di più a Cisternino che non a Martina e di come gli stranieri stiano acquistando molte costruzioni nelle nostre campagne. Pare se ne sia accorto quest’anno, quando non ci vuole una laurea in sociologia per essersi resi conto del fatto che Martina è in un novembre continuo a differenza della vitalità dei paesi accanto. Per quanto riguarda la presenza di stranieri, bisognerebbe avvisare l’onnipresente architetto che la nostra zona è ormai definita “trullishire” tanto è massiccia la presenza di nordeuropei.
Il dubbio a questo punto è che il progetto per il piano strategico sia vecchio di anni, altrimenti non si spiegherebbe tra l’altro, come mai si voglia recuperare il consorzio Artemoda, che non solo dovrebbe essere dimenticato ma, dato che nulla è stato fatto con i soldi pubblici che sono stati spesi, qualcuno con la fiamma oro sul berretto dovrebbe pure indagare.
Nessuna idea nuova, anzi. Negli obiettivi ci si prefigge di incrementare la raccolta differenziata attraverso progetti pilota. Cosa da 1980, dato che la UE ha fissato per il 2010 un netto incremento della differenziazione e da queste parti devono ancora capire come fare a dividere la plastica dal vetro. Inoltre Martina per quanto riguarda i rifiuti fa parte dell’ATO1, l’ambito territoriale che fa capo a Massafra e Taranto. E verso Taranto guarda anche per i servizi sociali, dato che condivide il Piano di Zona con Crispiano, nonostante il sociale sia una delle azioni previste dal Piano strategico. Ci si prefigge di esportare il progetto chiamato Green@t, che è un residuo della programmazione del PIT5, in cui per risolvere l’esclusione ci si rivolge alle agenzie interinali. Quello del progetto Green@t dovrebbe essere un capitolo a parte, dato che nulla è ancora partito, nonostante il Comune di Martina abbia già provveduto a stanziare i fondi (più di seicentomila euro) per l’ATI formato da un’agenzia interinale bolognese (Workopp) e due società pugliesi di servizi (Forpuglia e Informa S.C.A.R.L.)vincitrice di una gara d’appalto al ribasso di cui nessuno ha memoria.
Poi c’è la creazione di un polo museale che avrà come area di riferimento la Valle d’Itria ma che sarà a venti kilometri di distanza, dato che si farebbe nel Parco delle Pianelle.
Un’ultima cosa degna di nota è la diffusione di telecamere nel centro storico, i cui terminali necessiteranno di una continua sorveglianza da parte qualche impresa privata, dato il numero esiguo dei nostri vigili urbani.
Tutto il resto del progetto si riferisce alla costruzione di infrastrutture, strade ponti palazzi. Si vuole incrementare lo sviluppo sostenibile allargando le strade per velocizzarne lo scorrimento, restaurare con soldi pubblici immobili di proprietà della Chiesa (quindi privati), rafforzare le ferrovie del Sud-Est posando il doppio binario, ma solo fino ai paesi che dell’area vasta “Valle d’Itria” fanno parte.
Una Puglia da cartolina
La Puglia che hanno in mente questi amministratori, i dirigenti comunali e i portatori di grandi interessi, è un territorio da cartolina, devoto al turismo, che confonde la produzione culturale solo con la scenografia del Festival della Valle d’Itria, che rafforza quelle che un tempo erano le produzioni industriali più importanti e ora non più. Si punta sul tessile, un settore da anni in crisi a causa delle massicce importazioni dai paesi emergenti, si punta sul prodotto tipico ma solo sulla commercializzazione e non sulla sua produzione. Un territorio che dovrebbe competere con il Montenegro per il turismo, ma che evidentemente non può, data la diversità dell’offerta. E non si può nemmeno più puntare sulla risorsa del turismo data la grave crisi finanziaria che stiamo attraversando. Chi avrà fra un paio d’anni i soldi per potersi permettere di andare a mare per poi andare a dormire nei trulli dell’entroterra?
Questo è l’idea del territorio che emerge dal lavoro fintamente partecipativo che ha visto intorno allo stesso tavolo i volti soliti della gestione di queste zone. Le stesse parole vuote di sempre che giustificheranno in qualche modo l’uso dei fondi europei che, con i soliti giochi di prestigio, finiranno in qualche grotta delle nostre masserie.