il Comune di Pandora

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La notizia arriva in una domenica mattina nevosa. Petrucci, Tommasino e Conserva “u lueng”, ex sindaco di Martina, sono stati indagati dalla Procura di Potenza per vari reati “non necessariamente correlati tra loro”, peculato, corruzione. In particolare, l’articolo di Diliberto di ieri su Repubblica metteva in luce una cosa già nota ai più attenti: il lavoro di certosino smistamento delle denunce che arrivavano sui tavoli della Procura. Di questo se ne aveva già sentore quando ci si interrogava sul motivo per cui alcune istanze andassero avanti e altre no. In particolare come mai con tutto quello che accade al comune di Martina, tra tangenti et similia, nessuno sia mai intervenuto. Noi che in questo paese ci abitiamo, subiamo ogni volta i ricatti da parte di quella comitiva di pagliacci che occupa i nodi cardini dell’amministrazione burocratica martinese. Se vogliamo aprire un negozio, fare un concerto, chiedere una carta, un documento qualsiasi, diventa sempre un’impresa, un’avventura. Le normali funzioni dell’amministrazione, o meglio, della burocrazia che non dovrebbe avere nessun tipo di colore nè di appartenenza, diventano privilegi, favori, a cui poi, naturalmente bisogna corrispondere. Non esiste un regolamento che tenga, le cose si fanno o no, solo se convengono alla cricca di pagliacci che tiene in piedi la barracca. Con questo modo di fare, si legano gli uni agli altri in doppi fili di ricattabilità, di malafede. L’inchiesta della Procura di Potenza va a colpire uno dei tanti aspetti del cancro locale, uno dei sintomi più evidenti, ma non l’unico. Quello che accadrà è già scritto, è già visto: chi è stato colpito accetterà di buon grado che intorno a lui si faccia terra bruciata, che gli amici si nascondano o spariscono, temporaneamente, giusto il tempo di far calmare le acque. Poi tutto tornerà come prima. Perchè quello che è stato colpito è solo il livello politico, quello con una faccia e un nome, quello che, nel bene o nel male, ci mette la faccia. In questo modo è sempre quello più esposto, quello immediatamente riconoscibile nel bene o nel male. Ed infatti è sempre quello che ne paga le spese. Come in questo caso.

Ma se si cerca una prospettiva che esuli un attimo dalla rabbia, è palese che a Martina tutto c’è fuorchè un livello politico. Partendo da sinistra ed arrivando a destra è tutto un correre verso il centro, come se l’arena politica fosse una coppa di insalata. Ma il centro non corrisponde necessariamente ad idee democristriane, ma alla confusione pura, una corsa all’omologazione che ha come leit motiv il qualunquistico pensiero che la gente vota chi è più uguale. In base a questa legge idiota, tutti cercano posto dalle parti del centro, per essere più mimetizzati e, all’occorrenza, utilizzabili. Se si analizza la questione da un punto di vista politico. A Martina concorrono altri fattori invece. Primaditutto è utile dire che la scelta elettorale non è legata, nella maggior parte dei casi, a scelte politiche ma a forzature, a ricatti spesso occupazionali. Perchè tutti hanno un figlio da sistemare, un nipote da sposare, una rimessa da ristrutturare, tutti hanno motivo per essere ricattati, utilizzabili, ognuno è un voto e ogni dieci voti è mezzo favore.

Per questo è necessario che il livello politico sia debole, incopentente, possibilmente ricattabile tanto o di più dei singoli cittadini. I consiglieri candidati sono spesso persone costrette a mettersi in lista, e ogni posto in lista ha un prezzo. Naturalmente il loro potere reale, una volta eletti, sarà nullo, perchè avranno da ringraziare altri, da ricambiare altri favori. Quello che è importante, a Martina, è la continuità del potere. I candidati consiglieri, se si va a vedere la loro attività prima di mettersi in politica, hanno sempre il bisogno di un permesso, di un’autorizzazione, di una carta. Tutti possono, o devono, essere bravi ai diktat che arrivano dall’ufficio in fondo. Ed è l’ufficio in fondo il problema, quello che non viene toccato dalla indagini, quello che non deve essere eletto, quello che non deve mettere la propria faccia.

In un sistema che si regge sui favori, sui privilegi, sulla trasformazione della normale amministrazione in qualcosa di particolare, fatto ad personam, gli aggettivi si sprecherebbero e le analisi direbbero che il Palazzo Ducale è sede di una cupola mafiosa, per gli atteggiamenti e i modi di fare. Certo non si spara, non si uccide, ma le richieste dei cittadini che scelgono di non sottostare al Feudatario dell’ufficio in fondo vengono sciolte nell’acido del dimenticatoio, dei cavilli legislativi a cui non si può chiudere nessun occhio.

L’inchiesta della Procura di Potenza potrebbe essere l’inizio di un cambiamento, se sfruttata bene da quella parte di società trasversale, stufa di essere marionetta o burattino, stufa di feudi e di favori, di cortesie criminali di consorterie manco tanto occulte. Ma non accadrà. Gli organi di informazione non ne parleranno, perchè gli inserzionisti non pagherebbero la pubblicità, perchè non cambierebbe niente. Chi chiederà di andare a fondo sarà zittito, isolato, messo da parte.  I cittadini faranno finta di dimenticare, ma perderanno ancora una volta la fiducia nel sistema e non pochi di loro spereranno in un lider forte che tutto risolva. Quelli dell’ufficio in fondo faranno i buoni per un po’, per poi iniziare di nuovo a dividersi la città.

Questo è il comune di Pandora, chi avrà la curiosità di aprire il vaso?

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